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PUBBLICITA' SANITARIA: Il Consiglio di Stato accoglie l’appello FNOMCeO

19/04/2016

Riparte la lotta al c.d. “far-west” odontoiatrico. Come hanno reagito gli Ordini?

A tre mesi soltanto dal deposito della sentenza del Consiglio di Stato che annulla ab origine la sanzione comminata dall’Antitrust alla FNOMCeO per intese restrittive della concorrenza e “condona” la maxi muta (831.816 euro prima, poi la metà) per un escamotage di natura procedurale, la pubblicità sanitaria ritorna ad essere tema trending topic tra i corridoi delle sedi degli Ordini Provinciali. 

Non si vuole in questa sede riprendere i connotati tecnico giuridici di una vicenda giudiziaria arcinota agli addetti ai lavori ed assai dibattuta online. Non si dirà di come il Consiglio di Stato abbia in sostanza punito il letargo istruttorio dell’AGCM che ha impiegato ben 2 anni per adottare il provvedimento che ritiene le restrizioni alla pubblicità sanitarie, perpetrate dagli Ordini, incompatibili con il quadro normativo vigente; ma neanche mi intratterrò ad evidenziare quanto il Giudice amministrativo, con la sentenza in intestazione, non sia assolutamente entrato nel merito della questione, annullando il provvedimento unicamente sull’accertata prescrizione dell’illecito.

Si vuole invece porre l’attenzione più che sulle ricostruzioni giuridiche astratte sulle prassi che che molti Ordini provinciali sembrano volere riproporre sulla scia di quella che è stata considerata dal Presidente FNOMCeO “una grande vittoria”.

Infatti, a 90 giorni dalla sentenza amministrativa, sono ripartite a pioggia le convocazioni ex art. 39 dei Direttori Sanitari rei di non aver vigilato sulla comunicazione delle proprie strutture, a loro volta colpevoli di aver promosso le caratteristiche economiche delle prestazioni; o colpevoli di avere posto in essere comportamenti di presunto accaparramento illecito della clientela garantendo visite gratuite a danno dei colleghi.

Alcuni Ordini hanno addirittura (ri)aperto uffici adibiti alla verifica preventiva dei contenuti delle pubblicità informative, dimostrandosi sempre più restii a dire addio alla L. 175/1992, abrogata 10 anni or sono.

Il punto però è diverso.

La questione si pone, a parere di chi scrive, nei termini che seguono:

Secondo la legge

- l’art. 2 della l. 248/2006 espressamente prevede la possibilità di pubblicizzare “il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni” (art. 2, comma 2, lett. b);

- le Linee Guida che contenevano la generica indicazione secondo cui il prezzo non può essere l’unico elemento di pubblicità sono venute meno nella stesura del Codice Deontologico 2014 in vigore;

- nel solco tracciato si colloca, poi, la successiva l. n. 148/2011 secondo cui la pubblicità informativa è libera, ma le “informazioni devono essere trasparenti, veritiere corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli e denigratorie”

La giurisprudenza, ormai conforme, ha stabilito

- la legittimità del mero sconto ribadendo che “non ha troppo senso la valorizzazione in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari ” (Corte di Cassazione sentenza n. 11816/2012).

- le norme deontologiche restrittive della disciplina pubblicitaria non potevano stabilire limiti ulteriori rispetto a quelli del Decreto Bersani (TAR Lazio sentenza 4943/2015)

E sono solo alcuni esempi.

Resta dunque il fatto che con il provvedimento AGCM 25078/2014, l’Antitrust ha comunque affermato che l’interpretazione ordinistica della pubblicità limita la concorrenza attraverso “l’utilizzo strumentale” del procedimento disciplinare. E sono le parole di una amministrazione cui non può non riconoscersi indipendenza e autorevolezza!

Secondo questa lettura, in capo agli ordini residuano poteri di verifica della trasparenza e della correttezza del messaggio pubblicitario, valutata attraverso la percezione del paziente. Ma se la percezione rispecchia ciò che avviene in realtà, il messaggio dovrà essere ritenuto corretto.

L’impressione, invece, è che ordini provinciali e FNOMCeO, galvanizzati dalla pronuncia del Consiglio di Stato, siano tornati invece ad una interpretazione rigidissima della pubblicità in questo settore, spazzando via anni di pronunce e di graduali progressi verso l’orizzonte liberalizzante e pro-concorrenziale imposto dall’Europa.

La lotta contro il c.d. far-west odontoiatrico è assolutamente legittima quando premia il diritto alla salute riconosciuto costituzionalmente ad ogni cittadino/paziente. La lotta contro la volontà, di impulso comunitario, di rafforzare la libertà di scelta del cittadino al fine di promuovere la concorrenza nel mercato è altra cosa.

Sanzionare la Struttura che promette sconti e non mantiene è doveroso.

Sanzionare la struttura che grazie a un’efficace gestione e alle economie di scala riesce a garantire prestazioni di qualità a prezzi ridotti (anche fuori dai mesi della PREVENZIONE, solitamente autunnali) è foriero di quell’ “insopprimibile sofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell’esercente la professione sanitaria”. E sono le parole dell’organo vertice dell’ordinamento giuridico italiano!

Si ricorda che le sentenze di Cassazione (in quanto tribunale di ultima istanza), per quanto non vincolanti , sono di regola seguite dai giudici dei gradi inferiori: è la c.d. funzione nomofilattica. Ecco, è alla luce di queste informazioni che va interpretata la sentenza n. 167/2016 del Consiglio di Stato.

Vittoria di Pirro?