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Pubblicità sanitaria: le foto “prima e dopo” un trattamento sono ingannevoli?
IAP, 5/12/2019, decisione n. 69
La pubblicità sanitaria è certamente un settore delicato, in cui le regole del marketing devono rispettare le cautele imposte dal servizio terapeutico o curativo che si sta pubblicizzando.
Una delle modalità pubblicitarie maggiormente utilizzata è l’inserimento delle foto di un paziente “prima e dopo” di un determinato trattamento o tecnica curativa di cui si stanno esponendo le caratteristiche.
Al riguardo, in più di una occasione, gli Ordini professionali sono stati chiari nel definire una siffatta tecnica di comunicazione ingannevole e suggestiva se non supportata da una serie di informazioni scientifiche tese, soprattutto, a non ingenerare una falsa aspettativa in capo al potenziale paziente. Inoltre, come noto, i principi della trasparenza di non ingannevolezza del messaggio emergono imprescindibilmente dagli artt. 55 e 56 del Codice di deontologia dei medici e degli odontoiatri, pena la sanzionabilità degli stessi (in tal senso, decisione n. 55 del 12 novembre 2012).
La tecnica del “prima e dopo”, però, non è “pericolosa” solo per il professionista sanitario, ma anche per le Società commerciali produttrici di articoli con un c.d. “ruolo coadiuvante” nei trattamenti curativi, come gli integratori alimentari.
Al riguardo, interessante è la recente decisione n. 69/2019 del Comitato di Controllo[1] dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha considerato la pubblicità di un integratore alimentare, finalizzato questo al mantenimento dei capelli, contraria agli artt. 2 e 23 bis del Codice di autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
I menzionati articoli rispettivamente stabiliscono, in sintesi, come la comunicazione commerciale debba essere priva di elementi che possano indurre in errore i consumatori e, altresì, con specifico riferimento agli integratori alimentari e ai prodotti dietetici come gli stessi non possano vantare proprietà non realmente possedute.
La pubblicità in questione, infatti, oltre a enfatizzare effetti mirabolanti relativi alla crescita intensiva di capelli e una eccessiva valenza scientifica (in realtà era stato sperimentato il solo principio attivo e non il prodotto), catalizzava l’attenzione sulle immagini del “prima” e “dopo” l’utilizzo del prodotto reclamizzato.
E su tale tecnica, il Comitato di Controllo si esprime dichiarando che tali raffigurazioni “Sono inammissibili in quanto rappresentano situazioni patologiche di caduta di capelli che non possono trovare soluzione con il trattamento pubblicizzato. Inoltre, tali immagini non risultano corrette neanche da un punto di vista per così dire tecnico, perché non tengono conto della inevitabile variabilità della risposta individuale al trattamento, né tantomeno da un punto di vista prettamente comunicazionale, in quanto eccessivamente enfatiche e illusorie”.
Ciò significa che, nel caso analizzato, l’ingannevolezza del messaggio non emerge solamente dal contenuto scritto ma anche dalle immagini offerte al pubblico destinatario e, altresì, alla tipologia dei destinatari.
Con riguardo proprio ai destinatari, il Comitato evidenzia, che il pubblico “è costituito da persone particolarmente sensibili e per questo motivo portate a una decodifica più allettante ed illusoria delle promesse del facile ottenimento di risultati particolarmente ambiti (quali quelli in campo estetico/salutistico) con la conseguente amplificazione dei profili di ingannevolezza”.
Ne deriva, pertanto, l’inevitabile regola che nel fare attività pubblicitaria di servizi o prodotti curativi occorre necessariamente non solo tenere in considerazione le oggettive caratteristiche del messaggio ma anche l’interlocutore finale.
Alla luce di quanto detto sin qui, si conclude affermando come qualsiasi contenuto attinente a un servizio o prodotto curativo pubblicizzato non possa essere caratterizzato da termini possibilistici “assolutistici”, ovvero dalla suggestiva (e quindi errata) idea che tutti, sempre e comunque, possano ottenere l’effetto positivo comunicato. E ciò anche in relazione alle immagini, di cui una raffigurazione non rappresenta la prova certa di una determinata riuscita per tutti.
[1] Organo preposto alla tutela del cittadino-consumatore