Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?

Registrati per accedere ai contenuti riservati e iscriverti alla nostra newsletter

L’ottenimento dell’autorizzazione sanitaria a esercitare in regime privatistico prescinde dal fabbisogno regionale? Il T.A.R. Salerno dice sì

28/05/2020

TAR Salerno, II, 27/05/2019, n. 844

Con la sentenza n. 844/2019, i Giudici campani tentano, ancora una volta, di dirimere l’ormai annosa questione in merito alla necessità o meno della compatibilità al fabbisogno regionale per esercitare, in forma esclusivamente privata, l’attività sanitaria (nel caso di specie attività odontoiatrica).

L’articolata vicenda nasce a seguito di un ricorso proposto da una Società, che si è vista negare la domanda di voltura di autorizzazione per la trasformazione di uno studio, già operante sul territorio, in una struttura sanitaria erogante prestazioni odontoiatriche in regime ambulatoriale.

Il ricorrente, così, contestava l’eccesso di potere in capo all’Asl, “rea” questa di aver “bloccato” le autorizzazioni basando le proprie argomentazioni sulla procedura prevista per le strutture esigenti l’accreditamento.

I Giudici, richiamando un precedente dello stesso Tar (cfr. Tar Salerno, n. 1327/2014), hanno accolto il ricorso chiarendo che  

l’Asl non può emettere un parere negativo sulla base di argomenti che, invece, interessano le imprese in regime di accreditamento. In particolare, bisogna distinguere le attività in regime privatistico e quelle in regime di accreditamento. In relazione alle prime, rilevano gli artt. 32 della Costituzione – che eleva la tutela della salute a diritto fondamentale dell’individuo – e 41, teso a garantire la libertà di iniziativa di impresa, che impongono il rilascio dell’autorizzazione prescindendo dall’accreditamento e dal fabbisogno complessivo, perché altrimenti ragionando si realizzerebbe uno strumento ablatorio delle prerogative dei soggetti che intendano offrire, in regime privatistico (vale a dire senza rimborsi o sovvenzioni a carico della spesa pubblica, e con corrispettivi a carico unicamente degli utenti), mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza sul territorio (…)

Inoltre, i Giudici continuano sposando, sul punto, anche il pensiero dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM),  la quale già nel 2011 (nota 18 luglio 2011) si esprimeva precisando come fosse necessario evitare che una politica di contenimento (quale è la rispondenza al fabbisogno) dell’offerta sanitaria si traducesse in una posizione di privilegio di quegli operatori già presenti nel mercato, a danno dei nuovi entranti o potenziali tali.

Non solo.

L’AGCM, nel predetto documento, evidenziava proprio l’irrilevanza dei ”criteri di contenimento della spesa sanitaria, non versandosi a fronte di soggetti che operino in accreditamento. D'altra parte, le valutazioni inerenti all'indispensabile contenimento della spesa pubblica ed alla sua razionalizzazione hanno la loro sede propria nei procedimenti di accreditamento, di fissazione dei "tetti di spesa" e di stipulazione dei contratti con i soggetti accreditati; procedimenti distinti e susseguenti (sia logicamente che cronologicamente) rispetto a quello relativo al rilascio della pura e semplice autorizzazione, che è quella di cui si discute.”

Ed è proprio la differenza tra soggetto “solo” autorizzato e soggetto accreditato che diventa il presupposto indefettibile della sentenza qui argomentata, laddove il primo non richiede alcun aggravio alla spesa pubblica a differenza del secondo.

La motivazione offerta dal Tar sembra dunque arrivare alla conclusione, pienamente condivisa dalla scrivente, che il rilascio dell’autorizzazione sanitaria non possa (e non debba) essere compromessa dal fabbisogno regionale. La conseguenza, infatti, sarebbe una illegittima limitazione del diritto all’espansione di quel soggetto privato intenzionato a erogare prestazioni in piena autonomia esercitando il suo diritto alla libertà di impresa.