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IL LAVORATORE VANTA RETRIBUZIONI ARRETRATE? il suo diritto potrebbe venir meno per intervenuta prescrizione
La prescrizione è un istituto giuridico che “aggancia” eventuali affetti giuridici al “trascorrere del tempo”.
In ambito giuslavoristico è opinione prevalente che tutto ciò che viene corrisposto al prestatore di lavoro con periodicità annuale o infra annuale (esempio retribuzione) si prescrive nel termine di cinque anni ai sensi e per gli effetti dell'art. 2948, n. 4, c.c. Stesso termine risulterebbe applicabile in ordine alle competenze spettanti alla cessazione del rapporto di lavoro (TFR, indennità di mancato preavviso, etc.). La prescrizione ordinaria decennale assume comunque una rilevanza, seppur relegata ad un livello secondario, in tutti i casi non si realizzi il requisito della periodicità.
Da quando decorre il termine prescrizionale?
Certamente occorre sfatare la radicata convinzione secondo cui i diritti di credito eventualmente spettanti ai lavoratori non si prescriverebbero nel periodo di svolgimento della prestazione lavorativa.
Ciò era vero, ma valeva certamente per il passato e tale orientamento prendeva le mosse dall'intervento della Corte Costituzionale n. 63 del 1966. Discese infatti la regola del differimento. Ovvero il decorso della prescrizione per l'azione volta a rivendicare gli stretti titoli retributivi scattava alla fine del rapporto di lavoro.
Tralasciando la successiva evoluzione giurisprudenziale sul tema, l'orientamento ricevette un differente consolidamentto con la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza n. 1268 del 12.4.1976), la quale asserì al contrario che la decorrenza della prescrizione ordinaria (ovvero quinquennale, per i crediti retributivi del lavoratore) “non è unica per qualsiasi rapporto di lavoro ma dipende...dal grado di stabilità del rapporto stesso”.
La stabilità andava (prima della emanazione del Job Act) ragguagliata alla applicabilità o meno delle tutele previste dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In pratica nelle medie e grandi aziende, in organico nelle unità produttive occupanti più di 15 dipendenti, la prescrizione matura(va) già in costanza di rapporto. Diversamente per le aziende piccole ove la prescrizione continuava effettivamente ad operare all'esito della cessazione del rapporto.
Sin dall'emanazione della cd. "legge Fornero" del 2012 che ha iniziato l'operazione di “ridimensionamento” del campo di applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ci si è posti l'interrogativo se la cd. monetizzazione del licenziamento non abbia implicato la reviviscenza dell'originario orientamento in tema di prescrizione (Sentenza n. 63/1966 della Corte Costituzionale) con conseguente possibilità di differimento a fine rapporto delle rivendicazioni dei lavoratori per i loro crediti, anche nelle aziende sopra i 15 dipendenti.
L'interrogativo non è di poco conto in quanto una volta consolidata l'interpretazione, si permetterebbe (o meno) al lavoratore di poter richiedere o vantare anche consistenti importi per le annualità passate.
Un primo orientamento dottrinale rileva che l'aver riservato ai nuovi assunti con cd. "contratto a tutele crescenti" la deteriore tutela obbligatoria in luogo della tutela reale (tutela mantenuta invece per i “già occupati”) comporterebbe il sorgere di due diversi regimi di prescrizione per i crediti retributivi del personale di una medesima azienda dimensionata al disopra dei 15 dipendenti:
A) prescrizione che “scatterebbe” già in corso di rapporto per i vecchi occupati (con possibilità dell'azienda di non corrispondere al lavoratore importi già investiti dalla prescrizione),
B) prescrizione differita alla cessazione del rapporto (ed entro il quinquennio successivo) per i neo assunti.
In sede di contenzioso occorrerà valutare bene caso per caso nonché avvalersi della più recente giurisprudenza interpretativa in materia.