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La Riforma Fornero ed il contratto a termine

30/01/2013

Legge 28/06/2012, n. 92

La nuova riforma del mercato del lavoro ha modificato sensibilmente la disciplina prevista per i contratti di lavoro a tempo determinato (cd. “contratti a termine”) ed una breve disamina del percorso storico relativo a detta fattispecie contrattuale può risultare opportuno per comprendere meglio le modifiche di recente apportate. L'apposizione del termine ad un contratto (che altrimenti risulterebbe a tempo indeterminato) è stata lungamente osteggiata dal Legislatore, che vedeva in questo meccanismo una flessibilità lavorativa non tollerabile (in quel determinato momento storico); a partire tuttavia dal 2001 il Legislatore italiano, in recepimento ad una direttiva europea, ha deciso di disciplinare il rapporto di lavoro “a termine”, prevedendo che lo stesso fosse consentito a fronte di particolari esigenze “tecniche, produttive, organizzative e sostitutive”, anche se riferibili all'ordinaria attività del datore di lavoro. Tuttavia, alla conclusione del rapporto, proprio il datore di lavoro si trovava molto spesso a dover affrontare molteplici contenziosi per l'accertamento di rapporti di lavoro “a tempo indeterminato” - anche in presenza di un contratto di lavoro a termine - e ciò in ragione della mancata presenza delle condizioni previste dalla disciplina legale. Le conseguenze, fino al 2010, non erano di poco conto in quanto, nell'ipotesi d'effettivo riconoscimento del tempo indeterminato – il datore di lavoro era allora costretto a pagare tutte le mensilità dalla data d'illegittimo distacco del lavoratore a quella della sentenza di condanna, pari anche a 48 mensilità (sanzioni quindi anche molto pesanti). Con il cd. “Collegato-lavoro” questo problema è stato in parte risolto atteso come, in ipotesi di condanna, il datore di lavoro possa oggi essere chiamato a corrispondere – nel massimo – a 12 mensilità dell'ultima retribuzione percepita. Tuttavia il problema rimaneva in quanto, pur contenendo il quantum della condanna, ciò non aveva tuttavia del tutto eliminata la possibilità di lasciare al Giudice la valutazione sulla verifica dell'effettività - o meno - di quelle esigenze tecniche, produttive o sostitutive. E' proprio su questo aspetto che - ancorchè parzialmente – è intervenuta la cd. “Riforma Fornero” che, dal giugno 2012, ha stabilito come il contratto “a termine”, per una sola volta, possa essere “a-causale”, ovvero stipulato “con durata entro una data certa”, senza quindi che siano espresse le condizioni di cui si discuteva qui sopra. E' poi possibile il rinnovo, o un secondo contratto con lo stesso lavoratore, che tuttavia va congruamente giustificato. Per equilibrare poi i diritti delle parti, e far quindi in modo che non vi sia un abuso di tale fattispecie contrattuale, il Legislatore ha inoltre pensato che, a fronte di una libertà di stipula dovesse corrispondere una maggiore contribuzione a carico del datore di lavoro; in altri termini se questi non opta per il lavoro a tempo indeterminato, che – va ricordato – è la fattispecie tipica nel nostro ordinamento, il datore di lavoro si troverà a “pagare cara” la flessibilità che gli è concessa dall'utilizzo del contratto a termine. In conclusione, lo scrivente ritiene apprezzabile che venga realizzato uno scambio tra l'alleggerimento di (alcuni) vincoli normativi mediante la possibilità di stipulare un primo contratto a termine di durata fino a 12 mesi, senza dover indicare alcuna causale, a fronte dell'introduzione di un aggravio economico (di natura contributiva) per il datore di lavoro.