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La cassazione torna sul criterio del “più probabile che no”: confermata la responsabilità dei sanitari

12/12/2024
Cass. Civ., Sez. III, 26/09/2024, n. 25805

La Corte di cassazione è tornata di recente a pronunciarsi su una questione fondamentale per la risoluzione del nesso causale nelle cause di malpractice sanitaria: il c.d. criterio del “più probabile che no”. Il criterio sul quale si è pronunciata la Cassazione non è una novità in materia di responsabilità sanitaria, ma questa sentenza di legittimità ha avuto il merito di chiarirne i confini allo scopo di confermare la responsabilità del sanitario. Vediamo di cosa si tratta e perché i chiarimenti forniti dalla Cassazione sono fondamentali per pronunciarsi sulla responsabilità dei sanitari nelle cause di malpractice.

I presupposti della responsabilità sanitaria: il nesso causale in particolare

Prima di esaminare nel dettaglio l’importante criterio del più probabile che no”, è prima di tutto opportuno richiamare brevemente quali sono i presupposti da accertare per obbligare i sanitari a risarcire danni in materia di malpractice. Tra questi presupposti integratori della responsabilità possiamo indicare:

  • la condotta scorretta del sanitario;
  • i danni sofferti dal paziente;
  • il nesso causale tra la condotta e i danni.

La responsabilità sanitaria sussiste, pertanto, quando il caso specifico presenti tutti e tre i presupposti succitati; al contrario, la mancanza anche di uno solo di essi, esclude la responsabilità e comporta il venir meno dell’obbligo del risarcimento dei danni eventualmente sofferti dal paziente.

Ogni qual volta inizia una controversia di malpractice sanitaria si è soliti prestare molta attenzione all’accertamento dei prime due presupposti (condotta scorretta + danni sofferti), relegando l’analisi del terzo presupposto (nesso causale) ad un momento successivo, spesso coincidente con la fase di analisi giudiziaria del caso. Eppure, al pari dell’assenza di una condotta scorretta o di danni sofferti, anche la mancanza di nesso causale comporta la liberazione dalla responsabilità sanitaria.

Difatti, al fine di attribuire una responsabilità al sanitario non è sufficiente che a seguito di un intervento sanitario scorretto si siano verificati dei danni, essendo richiesto che quei danni siano stati causati (siano “conseguenza immediata e diretta”) proprio dall’errore del sanitario. Ciò potrebbe accadere, per esempio, in tutti i casi in cui i danni lamentati dal paziente (o dai suoi eredi) siano l’effetto di una malattia e/o comorbidità pregressa (magari la stessa che si è tentato invano di curare), di fattori naturali (es. un terremoto che provoca la caduta del paziente) e/o umani (es. la negligenza di altro medico curante).

Di conseguenza, l’indagine che il Giudice (e se del caso, il suo consulente di medicina legale) dovrà svolgere per accertare la sussistenza del nesso causale dovrà portare a riscontrare il seguente quesito: i danni causati al paziente si sarebbero verificati comunque anche se non ci fosse stato l’errore del sanitario?

La risposta a tale domanda sarà fondamentale in quanto, in caso di risposta affermativa, la responsabilità andrà esclusa anche se si è in presenza di un errore medico e di danni.

Il criterio del “più probabile che no”

Se è agevole sostenere che la mancanza di nesso causale determina sempre l’esclusione della responsabilità sanitaria, assai più difficile è stabilire però dei criteri che consentano di dimostrare in giudizio l’assenza di nesso causale e, in particolare, che il danno si è verificato per cause diverse dall’errore medico.

Sul punto, la giurisprudenza è oramai tetragona nel ritenere che tale indagine debba essere svolta ricorrendo al c.d. criterio del “più probabile che no”. La sentenza in commento chiarisce infatti che detto criterio imponga di “ritenere provata la causa di un evento quando quella causa è più probabile di una causa diversa o di una causa contraria” e che sia “compito del giudice di merito stabilire se l’accertamento fatto dal CTU consenta di ritenere come più probabile la causa da lui indicata, rispetto invece a causa alternative”.

In altri termini, il Giudice, dopo aver acquisito il consulto di un medico – legale, deve svolgere un esame comparatistico delle possibili cause generatrici del danno (es. errore medico; malattia e/o comorbidità pregressa; fattori naturali esterni; intervento di un terzo; negligenza del  paziente ecc.) e, all’esito di questa indagine, sancire la responsabilità del sanitario quando si sia accertato che l’errore abbia causato il danno in maniera “più probabile” rispetto alle altre cause ipotizzabili. Pertanto, non basta accertare che l’errore sia la causa più probabile del danno, ma è necessario accertare che sia la causa più probabile del danno rispetto a tutte le altre possibili cause astrattamente ricollegabili. Ad esempio - ed è proprio questo il caso esaminato dalla Cassazione - potrebbe accadere che un danno (lesione o decesso del paziente) sia statisticamente e/o astrattamente ricollegabile a più cause ma che soltanto una di esse sia “più probabile” (i.e. errore medico) in quanto si ritiene che le altre spiegazioni causali non siano in grado di incidere sul nesso causale data la loro lieve entità (i.e. malattia pregressa).

Nel compiere tale valutazione – precisa sempre la Cassazione – il giudice dovrà attenersi al concetto di “probabilità logica” che impone di valutare come determinante solo quella causa che presenta maggiori riscontri probatori, più indici di coerenza intrinseca o altri elementi prevalenti per sostenere una decisione.  Nel caso di specie, per esempio, la Cassazione ha ritenuto che l’errore medico commesso durante la biopsia prostatica prevalesse rispetto alle altre possibili cause del preesistente stato cardiaco deficitario e della persistenza neoplasia in quanto:

  • il consulente tecnico aveva dichiarato che le preesistenti condizioni cliniche del paziente non avessero inciso affatto a causa della loro lieve entità;
  • il fatto che si è ritenuto essere la causa del danno (i.e. emorragia) si è verificato in prossimità temporale rispetto all’errore del sanitario.

È stato dunque logicamente più probabile secondo la Cassazione che la causa dei danni fosse dipesa dall’errore dei sanitari.

Il ruolo del CTU nelle cause di malpractice sanitaria

Da quanto sopra, risulta agevole concludere come i consulenti tecnici d’ufficio nominati dai Giudici avranno un ruolo fondamentale nella ricostruzione del nesso causale. Difatti, il Giudice, qualora intenda discostarsi dalle risultanze della CTU, deve “illustrarne le ragioni, indicando le diverse prove che invece giustificano una conclusione diversa”.

Non è dunque agevole per il Giudice discostarsi dalle risultanze della CTU.

Ciò, tuttavia, non deve portare a ritenere sovrapposti il ruolo del CTU e quello del Giudice, per la seguente ragione indicate nella sentenza in commento:

  • cosa significhi più probabile che no è questione giuridica” (i.e. lo fa il Giudice)
  • “se nel caso concreto, quella probabilità si sia verificata, è questione di fatto” (i.e. lo fa il CTU)

Di conseguenza, il consulente stabilirà quale sia la probabilità ascrivibile a ciascuna causa del danno sotto il profilo medico-legale, mentre, il Giudice applicherà il principio del più probabile che no, individuando la causa che, rispetto alle altre, presenta maggiori riscontri probatori, più indici di coerenza intrinseca o/o elementi prevalenti per sostenere una decisione. Si tratta di una suddivisione dei ruoli sottile ma fondamentale, come si desume anche dalla sentenza della Corte d’Appello che è stata revisionata dalla Cassazione che, pur valutando le risultanze della CTU, ha comunque deciso di discostarsene applicando proprio il criterio del “più probabile che no”.