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La Cassazione allarga il perimetro della tutela della salute del lavoratore
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15957 del 07/06/2024, torna a pronunciarsi sul concetto di salute sul luogo di lavoro, andando ad espandere ulteriormente l’ambito di tutela processuale del diritto alla salute del lavoratori subordinati.
La vicenda riguarda una dipendente pubblica che aveva agito avverso il Ministero dell’Istruzione per ottenere il risarcimento del danno subito a causa delle vessazioni datoriali subite.
In entrambi i gradi di giudizio, però, la sua domanda veniva rigettata, in quanto i giudici di merito ritenevano che gli episodi di isolamento sofferti dalla lavoratrice dipendessero dalle sue difficoltà relazionali, e, in ogni caso, ritenevano non dimostrata la persecutorietà e la continuatività della condotta datoriale. La Cassazione, all’opposto, accoglieva il ricorso della lavoratrice e cassava la sentenza di appello.
Secondo la Suprema Corte, infatti, un “ambiente lavorativo stressogeno” è configurabile di per sé come un fatto ingiusto che può far sorgere un diritto al risarcimento anche in assenza di una condotta mobbizzante.
Questo perché il diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura dell'art. 2087 cod. civ. in chiave costituzionale, alla luce del precetto di cui all’art. 32 Cost. (diritto alla salute); inoltre, il concetto di “salute” deve essere inteso non solo come la mera assenza dello stato di malattia o di infermità, bensì come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, come sancito a livello internazionale (Convenzione ONU) e riportato all’art. 2, co. 1, lett. o) del d.lgs. 81/2008 (cd. TU sulla Sicurezza).
La Corte ha ritenuto che i giudici di appello avessero errato nel non considerare, ai fini del risarcimento del danno, l’ ambiente lavorativo stressogeno in cui era inserita la lavoratrice, di per sé potenzialmente idoneo ad una valutazione di tutte condotte datoriali allegate come vessatorie, anche se all'apparenza lecite o solo episodiche.
In conclusione, con questa sentenza la Corte sancisce come il diritto della persona del lavoratore debba essere tutelato non solo di fronte ad episodi di mobbing (la cui prova, in ragione dei requisiti della continuatività e della persecutorietà, risulta estremamente ardua), ma anche in presenza di “ambienti lavorativi stressogeni”, la cui valutazione è rimessa caso per caso dal giudice in base alla natura delle condotte datoriali.