Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?
L'IVA si applica agli accordi transattivi? La risposta dell'Agenzia delle Entrate
Risposta 3/3/2021 n. 145 - Agenzia delle Entrate
Con la risposta n. 145 del 3 marzo u.s. l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sull’assoggettabilità dell’IVA agli accordi transattivi, stabilendone definitivamente l’applicabilità. Vista la complessità e non unanimità dell’orientamento seguito dall’Agenzia delle Entrate, abbiamo ritenuto opportuno suddividere il nostro contributo in due sezioni: la prima parte si occuperà di riportare sinteticamente il contenuto del provvedimento e potrà essere utile a coloro che intendano conoscere gli elementi principali della decisione; la seconda sezione, invece, analizzerà la decisione alla luce dello stato normativo e delle numerose e, a tratti, contrastanti pronunce giurisprudenziali.
1. La decisione: l'IVA si applica agli accordi transattivi
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 145 del 3 marzo, ha definitivamente stabilito che alle somme pagate in esecuzione di un accordo transattivo deve applicarsi l’imposta sul valore aggiunto (IVA). Brevemente il caso:
- la società ALFA riscontrava dei malfunzionamenti nell’impianto produttivo acquisito in locazione dalla società BETA e, conseguentemente, chiedeva tutti i danni economici subiti, compresi quelli derivanti dall’interruzione temporanea della produzione. In seguito, con la sottoscrizione di due distinte scritture private, le parti convenivano di non ricorrere all’Autorità giudiziaria, dietro l’impegno di BETA a corrispondere a ALFA una somma “a saldo e stralcio di ogni e qualsiasi pretesa”.
In altri termini, secondo l’Agenzia delle Entrate, la somma pagata dalla società BETA costituisce la base imponibile per l’applicazione dell’IVA in quanto rappresenta il corrispettivo dovuto per una “prestazione di servizi” ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/72 (il servizio, nella specie, sarebbe prestato da ALFA a favore di BETA e consisterebbe nel divieto di ricorrere all’Autorità giudiziaria e nell’obbligo di accettare una somma a saldo e stralcio del credito preteso in risarcimento).
Dunque, qualora si concluda un accordo transattivo, occorre sempre verificare se l’importo eventualmente pagato per porre fine alla controversia debba essere assoggettato al pagamento dell’IVA.
L’unica ipotesi in cui una somma pagata a titolo transattivo non costituisce base imponibile per l’IVA si verifica quando l’accordo ha finalità “dichiarativa”. Difatti, la funzione “dichiarativa”, a differenza di quella “novativa”, non muta il rapporto preesistente tra le parti e, quindi, il trattamento fiscale è stabilito con riferimento al rapporto giuridico che ha dato origine alla transazione stessa. In questi casi, in altri termini, il problema della assoggettabilità dell’IVA agli importi pattuiti in sede di transazione non si pone, in quanto il soggetto passivo ha già pagato (o comunque dovrà pagare) l’imposta calcolata sul rapporto principale.
Non a caso l’Agenzia delle Entrate, prima di assumere questa decisione, ritiene doveroso chiarire come la transazione stipulata tra le società ALFA e BETA abbia carattere novativo, in quanto produce l’effetto di costituire un nuovo rapporto giuridico rispetto al contratto di locazione. Al contrario, se si fosse ritenuto l’accordo transattivo meramente dichiarativo, il regime IVA da applicare avrebbe dovuto essere parametrato sulla base del contratto principale, dovendo invece ritenersi irrilevante l’importo eventualmente pagato in sede transattiva.
Occorre sin da subito precisare come gli orientamenti della Agenzia delle Entrate non siano vincolanti laddove rechino interpretazioni di norme giuridiche; l’attività ermeneutica è infatti riservata agli organi giudiziari nazionali ed europei, e principalmente, nel caso di specie, è demandata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, attesa la matrice unionale della normativa sull’IVA.
Ciò non significa ovviamente ignorare il parere espresso dall’Agenzia delle Entrate, dal momento che si tratta pur sempre di un orientamento di indubbia rilevanza, non solo per l’autorevolezza, ma anche poiché orienterà l'approccio dell'Ente. È dunque possibile che, a partire dal 3 marzo, l’Agenzia delle Entrate esegua controlli e applichi sanzioni sulla base di questo nuovo orientamento.
Per coloro che intendano approfondire la questione e valutare i profili di compatibilità di tale decisione con lo stato normativo e giurisprudenziale, abbiamo ritenuto utile approfondire anche gli istituti giuridici richiamati dalla decisione della Agenzia delle Entrate.
2. Analisi della decisione alla luce dello stato normativo e giurisprudenziale: decisione definitiva o questione irrisolta?
L’Agenzia delle entrate ha assunto una decisione molto importante che, come vedremo, si colloca nel solco aperto dalle recenti pronunce della Corte di Cassazione. Cercheremo di seguito di riassumere gli istituti sottesi alla decisione, anche al fine di fornire ulteriori elementi di analisi giuridica delle pertinenti pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea.
1. Le prestazioni di “non fare” o “permettere”
Sul punto, occorre prima di tutto confermare la pacificità dell’assunto espresso dall’Agenzia delle Entrate, atteso che l’assoggettabilità dell’IVA agli “impegni negativi” è espressamente stabilita nel diritto unionale, rispettivamente nell’art. 25, lett. b) della direttiva di rifusione n. 2006/122/CE e, nel diritto interno, nello stesso art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972. Il principio, peraltro, è unanimemente riconosciuto dalla Giurisprudenza nazionale (Cass. Civ. n. 20233/2018, n. 23668/2018) ed europea (Corte Giustizia Europea C- 215/94, C- 384/95, C-463/14, C-263/15).
2. L’eccezione delle donazioni e delle somme pagate con finalità punitivo-risarcitoria
In secondo luogo, l’Agenzia delle Entrate chiarisce come le prestazioni contrattuali possano sfuggire all’assoggettabilità dell’IVA, a condizione che le somme siano erogate a titolo di donazione ovvero presentino carattere meramente risarcitorio. In queste due ipotesi, infatti, sarebbe assente la base imponibile tipica dell’IVA, non essendo configurabile, né nella donazione né nei risarcimenti, una “prestazione di servizi” ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972.
Sul punto, basti segnalare come il “Testo Unico delle disposizioni i concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni” del 31/10/1990 n. 346 prevede un regime di tassazione particolare e specialistico per tutte le donazioni; mentre, le somme pagate con finalità punitivo risarcitoria (come le richieste di risarcimento danni, le clausole penali/indennizzi derivanti da inadempimento contrattuale o violazione di legge) assolvono a una funzione (patologica), molto diversa da quella assolta con gli accordi transattivi che, al contrario, mancano dell’elemento della volontarietà (Conforme: Agenzia delle Entrate, risposta n. 74 del 13 marzo 2019).
In definitiva, come osservato dall’Agenzia delle Entrate, nelle ipotesi degli accordi transattivi non ricorre né una donazione, né una somma pagata con finalità punitivo-risarcitoria.
3. La funzione “novativa” come elemento imprescindibile per l’imposizione
In terzo luogo - come anticipato - il contratto transattivo deve avere funzione novativa e non dichiarativa. Sono le parti che decidono quale natura attribuire al rapporto, fermo restando il diritto/dovere del Giudice di verificare eventualmente la “reale” natura dell’accordo transattivo.
Come detto, nella transazione dichiarativa, a differenza di quella novativa, non sorgono nuovi rapporti giuridici e quindi il trattamento fiscale è stabilito con riferimento al rapporto giuridico che ha dato origine alla transazione stessa. In caso di transazione novativa, invece, il prezzo pagato in virtù dell’accordo transattivo, deve essere assoggettato a una nuova imposta, a causa della sostituzione del rapporto originario con quello successivo.
Ciò, tuttavia, non sempre è possibile.
L’art. 24, comma 3, DPR n. 633/1972 stabilisce che le parti possano variare l’importo dell’IVA non oltre un anno dopo dal momento di effettuazione delle operazioni originarie. Di conseguenza, qualora le parti concludano una transazione novativa oltre il termine anzidetto, non potranno più detrarre l’importo differenziale dell’IVA (Conforme: Agenzia delle Entrate risposta all’Istanza di Interpello n. 387 del 20 settembre 2019).
4. Il rapporto giuridico e il nesso tra il servizio ed il compenso
Oltre agli elementi di cui sopra - secondo l’Agenzia delle Entrate - è necessario che ricorra un rapporto giuridico tra le parti e che vi sia un nesso funzionale tra il servizio e il compenso.
Sul punto, il rilievo dato dall’Agenzia delle Entrate a questi due elementi non è altro che l’applicazione del recente orientamento di legittimità che, in due distinte occasioni, ha confermato l’assoggettabilità dell’IVA agli importi pagati a seguito di accordo transattivo.
La Corte di Cassazione, in un caso molto simile a quello esaminato dall’Agenzia delle Entrate, ha infatti osservato che la prestazione di servizi consiste nella rinuncia al credito e nell’impegno a porre fine al giudizio pendente e che trova il corrispettivo nella rinuncia e nell’impegno corrispondenti assunti dalla controparte. (Già citate: Cass. 23668/2018; Cass. 20233/2018).
Qui addirittura la Corte conferma l’applicabilità dell’IVA anche in assenza di un corrispettivo in denaro, ritenendo sufficiente lo scambio delle prestazioni di “non fare” e/o “tollerare”. Sul punto, la Corte, nulla specifica in motivazione, purtuttavia, sembra potersi affermare che la mancanza negli impegni negativi di un “corrispettivo” ai sensi dell’art. 3 DPR 633/1972 possa essere colmata dal regime IVA previsto dall’art. 11 per le “permute” (cioè rapporti in cui non c’è il pagamento di una somma di denaro, ma un semplice "scambio" di obbligazioni).
Dalle motivazioni ricaviamo come gli accordi transattivi debbano essere soggetti ad IVA in quanto, analogamente alle altre tipologie contrattuali, presentano una struttura contrattuale e un nesso funzionale diretto tra il pagamento della somma di denaro (o l'esecuzione di un obbligo di fare, non fare e/o permettere) e la rinuncia ad avviare le azioni giudiziali.
5. L’onerosità della prestazione
Ulteriore elemento è quello dell’onerosità.
Al fine di motivare questo ulteriore elemento, l’Agenzia delle Entrate richiama l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui l’onerosità della prestazione dei servizi si configura quando il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore del servizio (Già citate: CGU causa C-263/15; CGU causa C-463/14).
In particolare, nei casi sopra citati, la Corte di Giustizia ha dichiarato l’onerosità delle operazioni, ciononostante:
- le prestazioni fossero fornite occasionalmente e all’occorrenza;
- l’accordo prevedesse un obbligo del prestatore a non concludere contratti analoghi con terzi;
- il compenso fosse di modesta entità;
- i servizi fossero prevalentemente finanziati mediante aiuti di stato.
Appare evidente, quindi, come per verificare l’onerosità della prestazione debba guardarsi esclusivamente al controvalore effettivo del servizio all’utente, andando a verificare se il compenso è la contropartita dei servizi indicati nel contratto.
6. Conclusioni: un’occasione mancata?
Difficilmente è possibile discostarsi da quanto sopra riportato.
Tuttavia, alcuni dubbi permangono con riguardo al metodo di indagine a cui ha fatto ricorso l’Agenzia delle Entrate e, più in particolare, la Corte di Cassazione per confermare l’assoggettabilità ad IVA delle somme pagate a titolo transattivo.
Non convince prima di tutto l’interpretazione che viene data dei precedenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: nelle varie pronunce della Corte di Giustizia richiamate dalla Corte di Cassazione, infatti, i giudici europei si sono limitati a dichiarare l’assoggettabilità dell’IVA agli “impegni negativi” e a specificare i criteri per valutare l’onerosità dell’operazione ai fini dell’assoggettamento di suddetta imposta.
Al contrario, non è stata mai trattata la questione relativa agli accordi transattivi (anzi, in quasi tutte le pronunce, l’oggetto esaminato consisteva in prestazioni erogate nell’ambito di uno specifico contratto di servizi).
Pertanto, sembrerebbe che la Corte di Cassazione abbia, con troppa rapidità, ritenuto irrilevanti i precedenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle cause C-215/94 e C-384/95.
Precisamente, in tali precedenti, i giudici europei hanno ritenuto inapplicabile l’IVA alle indennità pagate dall’Unione Europea e dagli Stati nazionali ai cittadini che si astenessero dall’esercitare alcune attività imprenditoriali, in applicazione di specifiche disposizioni legislative (rispettivamente, nel primo caso, l’abbondono definitivo di una produzione lattiera; nel secondo, la riduzione del 20% della produzione di patate). Come si ricava dalle motivazioni, la Corte di Giustizia è arrivata ad assumere tali decisioni sulla base del fatto che le attività indennizzate perseguissero interessi generali e che, pertanto, dovessero ritenersi escluse dal novero dell’accezione unionale del concetto fiscale di “consumo”.
Ma se è vero che - come rammenta la stessa Corte di cassazione nei precedenti citati - è stato l’interesse pubblico a portare la Corte di giustizia a negare l’applicazione dell’IVA (interesse pubblico evidentemente insussistente negli accordi transattivi conclusi tra i privati), è altrettanto vero che tale eccezione avrebbe meritato una riflessione di più ampio respiro volta a chiarire gli elementi principali del concetto unionale di “consumo”. In particolare, sarebbe stato più che opportuno indicare i motivi per cui l’esecuzione di un impegno negativo a seguito di accordo transattivo avesse caratteristiche tali da rientrare nell’accezione di servizio volto a soddisfare esigenze consumeristiche.
A conferma di tali dubbi, si rileva come le decisioni assunte recentemente dalla Cassazione contrastino dichiaratamente con un precedente della stessa Corte di legittimità che, in direzione analoga a quanto appena esposto, aveva deciso di escludere l’applicabilità dell’IVA agli importi pagati a titolo transattivo (Cass. 18764/2014). L’esclusione, in quella sede, veniva motivata partendo dalla pacifica mancanza negli accordi transattivi del perseguimento della finalità consumeristica.
Tuttavia, questa specifica motivazionale non è stata esaminata dalla Cassazione, con l’effetto di non risolvere definitivamente la problematica fiscale degli accordi transattivi. Si teme pertanto un inasprimento del contenzioso giudiziario, anche in vista del contrasto tra le recenti pronunce di legittimità e la sentenza della Cassazione n. 18764/2014, essendo effettivamente molto arduo inquadrare un’obbligazione assunta in sede di accordo transattivo nello stesso schema legale dei comuni servizi svolti nell’ambito del mercato europeo.