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“Interesse e vantaggio” nelle associazioni temporanee di imprese (ATI): basta la mera appartenenza al gruppo per essere coinvolti in caso di reati 231?
Nel contesto sempre più articolato dei gruppi di imprese e delle aggregazioni societarie, il tema dell’estensione della responsabilità amministrativa da reato degli enti, disciplinata dal D.lgs. n. 231/2001, rappresenta da anni un nodo cruciale per l’interpretazione giurisprudenziale.
Di recente la Cassazione (Sez. VI, n. 14343 del 26 febbraio 2025) ha affrontato il tema della responsabilità 231 delle società “associate”, ove il reato presupposto sia realizzato da un soggetto che appartenga ad una persona giuridica appartenente ad un gruppo temporaneo di società.
Il quesito è rilevante: si estende la responsabilità 231 anche alle altre società associate, in ragione dell’appartenenza al gruppo?
Nel caso di specie, l’autore del reato era stato ritenuto un dipendente –formalmente in distacco – di una S.p.A. facente parte di un’associazione temporanea di imprese, costituita per l’esecuzione di un appalto pubblico.
Le imprese aderenti all’ATI avevano costituito, per la gestione operativa dell’appalto, una società consortile; in questo contesto, il dipendente era stato coinvolto nella commissione di un reato di truffa aggravata, connessa alla fornitura di materiali non conformi.
Sia il giudice di primo che di secondo grado avevano ritenuto sussistente la responsabilità amministrativa ex D.lgs. 231/2001 in capo alla società distaccante, pur essendo il reato stato commesso nell’ambito dell’attività associativa, ritenendo che la condotta illecita fosse finalizzata a procurare un vantaggio patrimoniale proprio a tale società.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna, osservando che non è sufficiente affermare in modo generico che il reato sia stato commesso “nell’interesse” della società e che non si può presumere automaticamente un vantaggio economico derivante dalla condotta illecita.
Annullando la decisione della Corte d’Appello, la Suprema Corte ha quindi rimesso la questione al giudice del rinvio, che dovrà accertare:
- da un lato, la concreta sussistenza di un interesse o di un vantaggio direttamente riferibile alla persona giuridica;
- dall’altro, che la persona fisica responsabile del reato presupposto abbia agito nella propria veste di soggetto apicale o subordinato ex art. 5 d.lgs 231/2001. Nel caso di specie, sarà dunque necessario verificare se la condotta della persona fisica, pur dipendente della S.p.A., sia stata effettivamente tenuta in tale qualità anche nel contesto dell’aggregazione temporanea di imprese.
Il giudice del rinvio, dunque, sarà chiamato a esaminare questioni rilevanti tanto sotto il profilo dell’organizzazione dell’ATI, quanto in relazione al criterio soggettivo di imputazione.
Quanto al primo aspetto, occorre considerare che l’ATI non costituisce un soggetto unitario e gerarchicamente strutturato – come nel caso di un gruppo societario con capogruppo e controllate – in cui l’interesse e il vantaggio sono più agevolmente individuabili.
Al contrario, nelle ATI è necessario procedere a un’analisi puntuale del flusso del vantaggio e della connotazione dell’interesse e delle specifiche dinamiche operative tra i soggetti partecipanti.
Quanto al secondo aspetto, occorrerà valutare se la qualifica soggettiva del dipendente della S.p.A., autore del reato, possa estendersi anche alle altre società partecipanti all’ATI, in relazione alle quali egli ha materialmente operato.
Il principio affermato dalla Corte è inequivocabile: nelle ipotesi di reato – presupposto commesso da un soggetto di una persona giuridica appartenente ad un gruppo di società o ad un’aggregazione di enti, la responsabilità delle società associate diverse da quella di appartenenza della persona fisica che ha commesso il reato, può essere evocata soltanto qualora sia dimostrata l’esistenza di un interesse o di un vantaggio diretti in capo anche alle società riunite e solo ove la persona fisica autrice del reato presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva necessaria, ai sensi dell’art.5 del D.lgs n.231 del 2011, necessaria per l’imputazione dell’illecito amministrativo da reato.
Non valgono, dunque, gli interessi “mediati” derivanti dalla mera appartenenza al gruppo, essendo necessario – in continuità con un orientamento ormai consolidato nella Giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. II, 9 dicembre 2016, n. 52316, Cass. Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 255369) – un accertamento concreto e puntuale circa la sussistenza di un interesse o di un vantaggio effettivamente conseguito dall’ente in relazione alla commissione del reato presupposto.