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In caso di sintomatologia atipica vi è responsabilità del sanitario per morte del paziente?
Cass. pen. IV, 4/05/2021 N. 16843
IL CASO
La persona offesa (B.) si recava al pronto soccorso riferendo dolore ad entrambe le braccia che aumentava alla pressione e di un episodio di vomito. In seguito ai controlli dei valori della pressione e del battito cardiaco, che davano valori nella norma, B. veniva dimesso dal medico S.C. con una diagnosi di “dispepsia, algia arti superiori”. Tornato dall’ospedale, B. decedeva nel sonno.
La consulenza tecnica disposta nel corso del procedimento penale indicava quale causa del decesso “un evento ischemico coronarico acuto, conseguente a trombosi di un ramo coronarico, a sua volta secondario a fissurazione di placca ateromasica, in soggetto affetto da severa miocardiopatia ischemica cronica e aterosclerosi diffusa”, ossia un infarto.
Tutti i consulenti tecnici riconoscevano come la sintomatologia presentata dal B. fosse rara ma, si sosteneva, questa doveva comunque tenere in considerazione nell’effettuare la diagnosi, vista la “non infrequente casistica di episodi di infarto caratterizzati da sintomi atipici o addirittura assenti”.
In altre parole negli elaborati tecnici veniva affermato che se S.C. non avesse dimesso il B. ad un’ora dal suo ingresso in P.S. ma avesse invece speso più tempo ad indagare un’eventuale origine ischemica della sintomatologia presentata dal B. (tramite ECG e dosaggio della troponina), ci sarebbe stato il tempo per intervenire ed aumentare le sue possibilità di sopravvivenza.
Questo passaggio è fondamentale: il tribunale di Mantova, e successivamente la Corte d’Appello di Brescia, infatti, sulla base di tale affermazione condannavano il S.C. per omicidio colposo individuando il nesso di causalità tra la condotta omissiva e l’evento.
LA DECISIONE DELLA CORTE
Con la sentenza n. 16843 del 4 Maggio 2021 la Corte rigetta i ricorsi dei ricorrenti ed affronta diversi profili di diritto.Ci concentreremo sui tre più rilevanti ossia:
- la qualificazione della condotta del medico come colposa
- il grado della colpa,
- il rapporto di causalità tra la condotta omissiva dell’imputato S.C. e la morte di B.
1. Qualificazione della condotta del medico come colposa
Per quanto riguarda la prima questione, innanzitutto la Corte si sofferma sulla definizione di “dolore toracico”, che ha assunto particolare importanza sia nel giudizio di primo che di secondo grado: la Corte di Cassazione conferma la definizione accolta dai giudici di merito, ossia "qualsiasi dolore che, anteriormente, si collochi tra la base del naso e l'ombelico e, posteriormente, tra la nuca e la 12^ vertebra e che non abbia causa traumatica o chiaramente identificabile che lo sottenda".Per questo motivo, il dolore rappresentato dal B. poteva essere qualificato come “dolore toracico”. Da ciò consegue, secondo i giudici, che la compresenza di dolori toracici (ossia il dolore alle braccia rappresentato da B.) e l’episodio di vomito dovevano far sorgere nel S.C. quantomeno la rappresentazione dell’eventualità di essere al cospetto di un soggetto con un infarto in corso. E ciò prescinde dal fatto che il B. non presentasse invece ulteriori sintomi tipici dell’infarto.
La Suprema Corte afferma dunque che “vi erano tutte le condizioni che suggerivano, ed anzi imponevano al medico di turno di esperire accertamenti onde pervenire a una diagnosi differenziale, ossia di considerare l'ipotesi - tutt'altro che remota che i sintomi presentati dal B. potessero essere correlati a episodio di cardiopatia ischemica acuta e che si dovesse pertanto procedere ad accertamenti in tale direzione: accertamenti che i periti indicano nell'esecuzione di elettrocardiogramma e di dosaggio della troponina, e che più che verosimilmente (secondo il parere peritale) avrebbero nella specie dato conferma dell'evento”.
2. Grado della colpa
Per quanto riguarda il grado della colpa, anche qui la Corte conferma quanto statuito dalla Corte di Appello di Brescia: se è pur vero che nel caso di specie è applicabile la Legge Balduzzi (L. N. 189/2012), deve tuttavia osservarsi come la limitazione della responsabilità penale del sanitario al solo caso di colpa grave, vale solo se il sanitario si è attenuto alle linee guida (o alle buone pratiche clinico assistenziali). Tuttavia, nel caso di specie il medico aveva totalmente disatteso le linee guida applicabili.3. Nesso eziologico
E' sicuramente il punto più complesso.Un'attenta disamina del caso concreto induce la Suprema Corte ad affermare – in linea con i Giudici di merito - che se il B. non fosse stato dimesso (come sarebbe avvenuto senza dubbio se il medico non avesse omesso gli accertamenti necessari per una diagnosi differenziale) l’infarto in corso sarebbe stato immediatamente accertato ed egli sarebbe stato immediatamente portato all’unità di terapia intensiva coronarica, dove gli sarebbe stata praticata la defibrillazione elettrica e di conseguenza, con elevato grado di probabilità logica, sarebbe stata evitata la morte.
La Cassazione, sul punto, richiamando quanto statuito dalle Sezioni Unite nel caso Thyssenkrupp, per cui “il nesso di causalità tra l'omessa diagnosi e il decesso di un paziente deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato su leggi scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”, precisa infatti che nel caso di specie l’unità di terapia intensiva coronarica era proprio all’interno della struttura.
Un elemento questo di assoluto rilievo, atteso che – anche in assenza di una certezza in ordine al momento della morte – la prossimità della unità di terapia intensiva avrebbe potuto garantire una tempestività di intervento, che avrebbe consentito al paziente, con un grado di elevata probabilità logica, di salvarsi.