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DIFFUSIONE ILLECITA DI DATI: mai dare per scontato il risarcimento
Cass. Civ. 13.133/2014
Notevole l’ultima sentenza della Suprema Corte in tema di privacy: i tuoi dati personali vengono diffusi illecitamente on line? Non credere di avere sempre diritto ad un risarcimento!
Qui di seguito la vicenda da cui la Suprema Corte ha tratto tali conclusioni.
Alcuni studenti dell’Università di Roma si avvedevano di come l’Ateneo avesse reso accessibili a tutti sul proprio sito internet alcuni elenchi di studenti specializzandi e/o specializzati, corredati da svariate informazioni personali, quali generalità, codice fiscale, attività di studio, situazione lavorativa e retributiva.
Reputando leso il proprio diritto alla privacy, alcuni dei soggetti coinvolti si rivolgevano al Tribunale civile di Roma, il quale, non solo ordinava all’Ateneo la cancellazione dei dati, ma liquidava anche in favore degli attori un importo a titolo di danno non patrimoniale, per il “disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico”.
La sentenza, impugnata dall’Università, approdava dinanzi alla Suprema Corte, la quale ha colto l’occasione per chiarire, non solo quando possa configurarsi una lesione della privacy, ma, soprattutto, anche quando, in presenza di un trattamento illecito, sussistano i presupposti per un risarcimento.
In primis, la Cassazione ha statuito che, laddove si tratti di diffusione di dati tratti da pubblici registri, gli enti pubblici/privati sono esonerati dal chiedere il consenso degli interessati ai fini del trattamento, fermo restando che il trattamento deve essere effettuato in maniera corretta.
Secondariamente, affinché scatti il diritto al risarcimento, occorre accertare la gravità dell’offesa e la “serietà” del danno, da intendersi la prima quale incidenza del danno sul diritto leso e la seconda come l’insieme delle conseguenze della lesione.
In particolare, dice la Suprema Corte, un danno non serio “esclude che vi sia una perdita di utilità derivante da una lesione” anche laddove sussista il requisito della gravità del danno.
La sussistenza contemporanea di tali presupposti implica il superamento della c.d. soglia minima di tollerabilità, oltre la quale scatta il diritto al risarcimento.
Secondo la Corte, il Giudice, chiamato alla verifica della serietà e della gravità di una lesione derivante da un trattamento dati non corretto, dovrà compiere questo accertamento tenendo conto del particolare contesto storico e sociale in cui si è perpetrata la lesione.
In sostanza, la verifica della serietà e della gravità del danno, ai fini del risarcimento, va fatta caso per caso.