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CONTROLLI DEL DATORE DI LAVORO: LA MAILBOX AZIENDALE

22/01/2007

Il caso
Un dipendente, a cui il datore di lavoro ha assegnato una mailbox per espletare le mansioni lavorative, e assente per ferie o per malattia.

C'e un progetto importante da portare avanti di cui si occupava il dipendente assente, ed e necessario accelerare le operazioni e comunicare quanto prima lo stato di avanzamento dei lavori o eventuali impedimenti etc. A tal fine, su delega del datore, il capo-ufficio, accede alla mailbox aziendale del dipendente assente per verificare le comunicazioni con il cliente del progetto. Durante il controllo, il capo-ufficio trova files e altra documentazione non consona al lavoro che doveva essere svolto, risultando cosi lo strumento della mail utilizzato per finalita "private", esulanti per l'appunto dall'attivita lavorativa. Il datore viene informato del fatto e licenzia (per giusta causa) il dipendente in questione, ravvisando nel suo comportamento una condotta posta in essere in violazione degli obblighi di fedelta del lavoratore (artt. 2105 e 2106 c.c.). Il dipendente ovviamente impugna il licenziamento, altresi sporge querela contro il proprio capo- ufficio, accusandolo di aver violato la segretezza della propria corrispondenza ai sensi dell'art. 616 c.p.

La sentenza
Il Tribunale di Torino, in relazione al reato contestato, violazione della corrispondenza, assolve il datore di lavoro con formula piena: perche il reato non sussiste.

Vediamo i punti piu interessanti della sentenza:

  • I PC utilizzati dai dipendenti di un'azienda devono ritenersi equiparati a normali strumenti di lavoro, forniti loro in dotazione esclusivamente per lo svolgimento della attivita aziendale affidatagli.

  • Qualificare l'indirizzo di posta come personale non significa che questo sia "privato" (o riservato). L'indirizzo aziendale per sua natura, puo sempre essere «nella disponibilita di accesso e lettura da parte di soggetti diversi, sempre appartenenti all'azienda, rispetto al suo consuetudinario utilizzatore» al fine, per esempio, di consentire la regolare continuita della attivita aziendale nelle frequenti ipotesi di sostituzioni di colleghi per ferie, malattia oppure gravidanza. Pertanto, «cosi come non puo configurarsi un diritto del lavoratore ad accedere in via esclusiva al computer aziendale, parimenti non appare astrattamente prospettabile un suo diritto all'utilizzo esclusivo e riservato di una casella di posta elettronica aziendale».

  • Pertanto il dipendente si espone comunque al rischi che altri nella medesima azienda possano accedere alla casella di posta in suo uso e leggerne i messaggi.

  • Nell'accesso, quindi, da parte di o capi-ufficio alla posta elettronica aziendale del dipendente non sembra ravvisabile la fattispecie delittuosa di cui all'art. 616 c.p. ovvero violazione della corrispondenza.

  • Il Tribunale poi non accetta l'assimilazione della posta elettronica a quella tradizionale, con relativa invocazione di un principio generale di segretezza, nelle ipotesi in cui il lavoratore utilizzi lo strumento per fini privati, ossia extralavorativi, posto che «giammai un uso illecito di uno strumento di lavoro puo consentire di attribuite alcun diritto a colui che tale illecito commette».

  • Si precisa, infine, che come l'azienda in questione aveva inserito nel protocollo aziendale relativo alla System Security", pubblicizzato nel 2000, un divieto espresso dell'utilizzo della strumentazione elettronica per motivi diversi dall'attivita lavorativa, inserendo inoltre una procedura di emergenza in base alla quale: Ogni computer e postazione di lavoro deve essere protetta da password. Il dipendente ha altresi l'obbligo di comunicare la nuova password adottata, e ad ogni sua variazione, in busta chiusa firmata e datata di suo pugno, al suo diretto superiore gerarchico. Questi in caso di emergenza e/o di assenza del lavoratore, avra diritto di accedere al suo computer ed ai suoi contenuti per esigenze di carattere lavorativo, utilizzando la password comunicata

Il Tribunale ha, quindi, ribadito quanto gia affermato dal Garante, ovvero che il lavoratore ( ...) poteva invocare il diritto alla riservatezza fino a quando il datore di lavoro non avesse chiarito formalmente, mettendolo nero su bianco, che tutti i testi in entrata e in uscita da qualsiasi account interno all'azienda potevano essere resi pubblici in qualsiasi momento.