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CONSENSO (DIS)INFORMATO: QUANDO DA UN’INFORMAZIONE MEDICA CARENTE SCATURISCE UN INCONTRO DI VOLONTA INEFFICACE. CHI PAGA GLI ESITI NEFASTI DI UN INTERVENTO VULNERATO NELL’ASSENSO PERCHÉ BASATO SU INFORMAZIONI SCORRETTE AL PAZIENTE?

28/03/2013

Si al risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento chirurgico effettuato a seguito di un’errata diagnosi di cancro. IL CASO Il Tribunale di Parma ha respinto con sentenza la domanda risarcitoria proposta da una donna sottoposta ad un intervento di laparoisterectomia dopo un’errata diagnosi di carcinoma. La paziente aveva citato in giudizio sia l’azienda ospedaliera che i chirurghi coinvolti chiedendone la condanna in solido al pagamento dei danni biologici, patrimoniali e non, conseguenti ad interventi chirurgici che le avevano provocato un’invalidità permanente che la consulenza medico legale accertava esser pari al dieci per cento. Il giudizio d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado rigettando le censure sollevate da parte ricorrente, sia relativamente all’erroneo operato dei medici, sia riguardo alla discutibile necessità di intervento motivata da una inesatta ipotesi diagnostica; la donna veniva condannata a rifondere le spese di primo e secondo grado a tutti gli appellati. La controversia arrivava quindi avanti alla Corte di Cassazione, che annullando con rinvio la sentenza di secondo grado analizzava la questione del consenso informato quale diritto inviolabile della persona. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE In particolare, la Suprema Corte, ribadendo come il dovere d’informazione assuma un rilievo fondamentale nell’ambito della professione medica quale dovere autonomo rispetto alla stessa colpa professionale, ha ribadito come sia da considerarsi superata la tesi giurisprudenziale secondo cui il vizio inerente al consenso informato sia motivo di responsabilità precontrattuale. Partendo dalla considerazione che l’attività medica si compone di due fasi - quella preliminare di diagnosi e l’altra terapeutica o d’intervento - solo al completamento della fase diagnostica subentra il dovere del medico di informare il paziente in ordine alla natura e agli effetti del trattamento manifestatosi come necessario. La fattispecie in esame, infatti, “si caratterizza da un contestuale errore di informazione e di assenso all’atto chirurgico, ma l’errore diagnostico non deriva da colpa lieve, ma da una gravissima negligenza, l’aver operato prima di avere la certezza di un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile l’intervento”. Da queste premesse consegue l’inevitabile inclusione dell’obbligo d’informazione nella complessa prestazione medica e la responsabilità contrattuale per il suo inadempimento o inesatto adempimento. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che sulla base di queste considerazioni non può dirsi avvenuto, nel caso di specie, un incontro di volontà efficace in relazione ad un contenuto fuorviante dell’informazione medica. L’ennesima conferma che può dunque sussistere uno spazio risarcitorio in caso di violazione del diritto dell’autodeterminazione.

CORTE DI CASSAZIONE, III SEZ. CIVILE, SENTENZA N. 4030/2013