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Il canale del whistleblowing nei Modelli 231: tutela del whistleblower a 360° anche in sede penale?

23/02/2021

Cass. Penale, VI, 31/01/2018, n. 9041
Cass. Penale, VI, 31/01/2018, n. 9047
Cass. Penale, V, 21/05/2018, n. 35792

La Legge 179/2017 recante “
Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” ha profondamente modificato la normativa sul whistleblowing introducendo la possibilità di istituire sistemi di segnalazione di illeciti in ambito privato, modificando così quanto normativamente disposto dal D.Lgs n. 231/2001.  

In particolare, l’art. 2 della Legge ha inserito nel corpo dell’art. 6 d.lgs n. 231/2001 il comma 2 bis il quale espressamente prevede che i Modelli di organizzazione, gestione e controllo debbano prevedere uno o più canali che permettano ai soggetti indicati dall’art. 5 comma 1 lett. a) e b) (c.d. “apicali” e i “sottoposti”) di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, “segnalazioni circostanziate 

  •  di condotte illecite rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti 
  • o di violazioni del Modello di organizzazione, gestione e controllo di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte” 

garantendo al contempo la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione.  

La Legge n. 179/2017, oltre a istituzionalizzare anche nel settore privato (come già previsto per il settore pubblico disciplinato dall’art. 54 bis d.lgs 165/2001 – la necessaria esistenza di canali di comunicazione tra il soggetto che segnala l’illecito (c.d. whistleblower) e gli organi destinati a ricevere tale segnalazione, ha sancito espressamente come i predetti canali di segnalazione nonché misure atte a proteggere l’identità del segnalante rappresentino oggi vero e proprio requisito di idoneità dei Modelli organizzativi di cui al d.lgs 231/2001. 

Il giudice, dunque, sarà chiamato a verificare – nell’ambito di un procedimento che mira a constatare “l’idoneità” del Modello e la sua “efficace attuazione” – da un lato la sussistenza dei canali di segnalazione predisposti dall’ente e dall’altro la loro concreta ed efficace attuazione.  

Il rapporto tra Modello 231, disciplina del whistleblowing e procedimento penale appare un tema di assoluto interesse. In particolare, ci si chiede quali siano i confini di tutela del whistleblower in sede penale. 

Un primo interrogativo: l’anonimato del whistleblower è garantito anche in un procedimento penale? 

Sul punto si richiama quanto sancito da due interessanti pronunce, Cass penSez VI n. 9041/2018  e n. 9047/2018l’anonimato del denunciante (chi fa una segnalazione con un casella di posta interna non ha necessità di firmarsi) è in verità solo riserbo delle sue generalità e opera esclusivamente in ambito disciplinare, ma non in sede penale.   

Il diritto di difesa dell’indagato, difatti, prevale sempre e comunque sul diritto alla riservatezza del whistleblower, che quindi può essere sempre chiamato come testimone, a tutela del diritto - costituzionalmente garantito - al contraddittorio nella formazione della prova. 

Il secondo tema è parimenti rilevante: ci si è domandati difatti se il denunciante - al fine di acquisire “prove” in caso di “sospetto” di un illecito da parte di un collega, soprattutto in tema di pubblico impiego – possa effettuare proprie attività investigative, in violazione dei limiti imposti dalla legge. Insomma, il fine giustifica i mezzi? 

La Suprema Corte, Cass. Pen. Sez. V, 21 maggio – 26 luglio 2018 n. 35792, ha chiarito due importanti principi:
  1. se si commette un illecito (ad es. accesso abusivo ad un sistema informatico) il denunciante non potrà invocare la scriminante dell’”adempimento di un dovere” ex art. 51 c.p.. Non esiste infatti nessun dovere di segnalazione e se il whistleblower commette un reato anche per un “fine nobile”, ne risponderà penalmente;
  2. la disciplina del whistleblowing mira a tutelare il segnalante in caso acquisisca in ambito lavorativo notizia di una attività illecita, ma non lo obbliga né lo legittima ad avviare autonome attività investigative, tanto più in violazione dei limiti di legge. 

Appare evidente che, alla prova dei fatti, la disciplina del “whistleblowing” appaia “debole” e forse poco efficace. Non vi è ombra di dubbio che, difatti, l’efficacia del Modello 231 si scontri con l’inviolabile diritto di difesa del soggetto indagato, che in alcun modo può accettare di confrontarsi con “notizie anonime”, che hanno il sapore – amaro – di altri tempi.