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Attivita imprenditoriale e privacy: i limiti posti dall’ultima, incredibile sentenza della Corte di Giustizia UE contro Google

28/05/2014

Sentenza Corte UE del 13 maggio 2014, causa C-184/11

Di notevole portata l’ultima sentenza della Corte di Giustizia in materia di rapporti tra attività imprenditoriale e diritto alla privacy. Google, colosso dei motori di ricerca, riveste in questo caso il ruolo dell’azienda “colpita”.

La sentenza merita qualche riflessione sui suoi possibili effetti per il futuro, non prima, però di un breve cenno alla vicenda che ha generato il “polverone”.

Un imprenditore spagnolo, che anni fa aveva subito un pignoramento, aveva riscontrato che, digitando il proprio nome sul motore di ricerca, compariva ancora la notizia della propria vicenda giudiziaria, pubblicata all’epoca anche on line da una testata giornalistica.

L’imprenditore, pur trattandosi di pubblicazione “obbligata” (prevista, cioè, per legge in connessione al pignoramento), otteneva dalla Agencia Espanola de proteccion de datos, in pratica, l’equivalente del ns. Garante per la Privacy, la rimozione di tali dati nei confronti di Google Inc. e Google Spain, quest’ultima filiale spagnola dell’azienda americana, per veder “ripulita” la propria immagine professionale.

La decisione, impugnata da Google, approdava davanti alla Corte di Giustizia, la quale, in applicazione della Dir. 95/46/EEC sul trattamento dei dati personali, ha statuito che l’attività di far comparire dati personali sul web rientra nel concetto di trattamento e che Google, in quanto autore della raccolta e messa a disposizione dei dati, seppur immessi in rete da terzi (in questo caso il giornale), è il responsabile del relativo trattamento. Ma non solo.

Secondo la Corte, con riferimento all’americana Google Inc., “quando un unico responsabile del trattamento è stabilito nel territorio di diversi stati membri (..) per mezzo di filiali, esso deve assicurare (..) che ognuno degli stabilimenti adempia agli obblighi previsti dalla legge nazionale applicabile alle attività di ognuno di essi”, inoltre “(..)la tutela delle persone prevista dalla presente direttiva non deve essere impedita dal fatto che il responsabile del trattamento sia stabilito in un paese terzo”.

Ed ancora, con riferimento al potere di Google di “profilare” le persone mediante la raccolta di dati ad esse attinenti, la Corte ha sancito che “(..) vista la gravità di tale ingerenza, (..) quest’ultima non può essere giustificata dal semplice interesse economico del gestore di un siffatto motore di ricerca in questo trattamento dati (..)” e che “occorre ricercare un giusto equilibrio tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona [tra cui la privacy]; tale equilibrio può dipendere (..) dalla natura della informazione (..), dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dall’interesse pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica”.

Quindi, stando alla statuizione della Corte, si ottiene che:

  • una sentenza europea, per quanto in via mediata (tramite cioè la filiale Google Spain), produce di fatto effetti anche nei confronti di una azienda americana (!)

ed altresì che

  • gli interessi commerciali/imprenditoriali e quello dei cittadini alla conoscenza di determinate notizie possono soccombere davanti al diritto delle persone alla tutela della propria privacy, tenuto conto del loro peso “sociale” agli occhi del pubblico.

Ma come effettuare correttamente il bilanciamento che potrebbe portare alla eliminazione dei dati a detrimento del diritto pubblico all’informazione? E chi procederà a tale bilanciamento, i motori di ricerca?

Certo è che la sentenza della Corte di Giustizia potrebbe aprire la strada a potenziali, infinite richieste di cancellazione di dati personali percepite come negative dai diretti interessati, con la conseguenza di limitare i contenuti disponibili on line solo a certi tipi.

Restiamo in attesa degli sviluppi.