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Accreditamento. lo strano caso del “legittimo” diniego durato due anni

14/05/2013

Consiglio di Stato – Sez. III, Sent. n. 2527/2013 –depositata il 9 maggio

Da sempre l’accreditamento è collegato alla programmazione e pianificazione regionale (art. 8-quater Dlsg 502/’92) La struttura richiedente è dunque soggetta al giudizio discrezionale della Regione che, valutati in primis i requisiti (ulteriori) di qualificazione previsti dalla normativa, procede all’accertamento della propria necessità erogativa nel rispetto delle strutture già sul territorio e delle esigenze di programmazione. Questo, semplificando, quanto chiarito da un ventennio di giurisprudenza post riforme anni novanta. Quello che emerge ora dalla decisione che si commenta è che, qualora la richiesta di accreditamento avvenga nelle more dell’adozione del provvedimento regionale di ricognizione (ovvero di ricalcolo del fabbisogno assistenziale per razionalizzare la spesa sanitarie), il diniego è valido anche trascorsi ben due anni(!). E’ il caso portato all’attenzione del Consiglio di Stato, sezione terza, chiamato ad interpretare la portata del silenzio della Regione Lazio durato dal 2007 al 2009 e culminato nel diniego -senza preavviso- dell’accreditamento istituzionale demandato all’Ente da una struttura sanitaria intenzionata a svolgere attività per conto del SSR. IL CASO Una società che gestisce un centro autorizzato per attività di educazione e riabilitazione di soggetti in età evolutiva con grave deficit visivo, un anno dopo l’inizio di attività chiedeva alla Regione Lazio, ex art. 6 del regolamento regionale 13/2007, l’accreditamento istituzionale necessario per svolgere la propria attività anche per conto del SSR. La Regione, a distanza di due anni, negava l’accreditamento richiesto. Il diniego veniva motivato dal fatto che la Giunta Regionale sulla base di quanto imposto dagli artt. 1, comma 796, lett. u), l. n. 296/2000, e 2, l.r. Lazio 4/2003, non consentiva il rilascio di accreditamenti nuovi o definitivi, nelle more dell’adozione del provvedimento regionale di ricognizione per la rideterminazione dei fabbisogni di prestazioni sanitarie, di cui all’art. 8-quater, comma 8, d.lgs. 502/1992. Il Tar, in primo grado, respingeva le pretese legate alla violazione delle norme in materia procedimentale. L’appellante, infatti, aveva impugnato il diniego lamentando la violazione dell’art. 2 della legge 241/1990 per mancato rispetto del termine (di 90 giorni) di conclusione del procedimento, e chiedeva il risarcimento del conseguente danno da ritardo. Inoltre, aveva altresì lamentato la violazione dell’art. 10-bis, della medesima legge, per mancata comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento della richiesta. A tale proposito, il TAR aveva sottolineato che: ? il termine di conclusione del procedimento ha natura sollecitatoria e dà luogo al silenzio rifiuto ma non vizia l’atto adottato oltre la scadenza; ? il superamento del termine non potesse assumere rilevanza ai fini del risarcimento del “danno da puro ritardo”, non essendo stata quantificata la portata di esso (ma soltanto quella del danno da mancato rilascio dell’accreditamento); ? l’omissione del preavviso di rigetto non poteva viziare il diniego, stante la natura vincolata del diniego e l’applicabilità dell’art. 21-octies, legge 241/1990. LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO Il Consiglio di Stato si esprime con una decisione molto articolata di cui si riportano qui i punti salienti: a) il danno da ritardo: il Collegio non ha inteso disconoscere l’ingiustificabile negligenza della Regione nel riscontrare la domanda, né negare la rilevanza autonoma attribuita dall’art. 2-bis, legge 241/1990 “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”, alla condotta omissiva dell’Amministrazione che abbia causato al privato un danno ingiusto. La prospettazione del danno era però effettivamente assente nel ricorso dell’appellante. Nello specifico, con riferimento ad un’attività imprenditoriale soggetta ad autorizzazione, andava evidenziato il pregiudizio derivante dalla perdita di occasioni alternative, dall’immobilizzazione di risorse altrimenti impiegabili e dall’improduttività di investimenti effettuati a tal fine. Il danno andava provato. b) la ricognizione dei fabbisogni: come evidenziato in sentenza “il blocco degli accreditamenti deriva univocamente dalla previsione di legge, per cui ogni contestazione diretta non può che comportare denuncia di incostituzionalità della norma” che disporrebbe un blocco senza prevedere alcun termine per l’emanazione dell’atto di ricognizione. Il Consiglio di Stato dunque, pur riconoscendo la negligenza della Regione, ha statuito che il diniego impugnato dovesse sottrarsi dalle censure dedotte escludendo la sussistenza di presupposti per riconoscere alla struttura un danno da ritardo. La forma di tutela che avrebbe dovuto esperire la società che gestisce il centro di riabilitazione era quella di attivare le procedure volte ad evidenziare l’inerzia della Regione nell’adozione di un atto generale di ricognizione, così da ottenere dal giudice l’accertamento dell’eventuale illegittimità del blocco degli accreditamenti a tempo indeterminato.