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La responsabilità peculiare del Ministero della Salute per attività di emotrasfusione

26/10/2017
Silvia Pari

Trib. Brescia, Sez. I Civ, 4/10/2017, n. 2820

Con la sentenza n. 2820/2017 la Sezione I Civile del Tribunale di Brescia è tornata su di un tema lungamente dibattuto, quella della responsabilità per danni da trasfusione di sangue infetto.

Nel caso di specie una paziente lamentava di avere contratto il virus dell’HCV in occasione di emotrasfusioni cui la stessa era stata sottoposta nel Luglio del 1977 all’esito di un intervento ortopedico. A tale scopo conveniva in giudizio il Ministero della Salute per vederlo condannare, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per omesso esercizio dei poteri di controllo e vigilanza in relazione all’attività di emotrasfusione. Quest’ultimo si costituiva in giudizio eccependo, fra le altre, l’avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e rinnegando ogni responsabilità in merito all’accaduto.

Il Giudice, nell’accogliere la domanda formulata da parte attrice, coglie l’occasione per ribadire due importanti principi:

  1. Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. decorre non già da quando il contagio è effettivamente avvenuto (1977) bensì da quando la malattia che ne è derivata – nel caso di specie l’HCV – viene percepita o può essere percepita.
    In tal senso, il CTU aveva accertato che l’attrice aveva avuto conoscenza e consapevolezza della malattia soltanto nel 2004 e, pertanto, la preventiva incardinazione, nel 2009, di un giudizio avanti al Giudice del Lavoro, avente a oggetto sempre la medesima vicenda, aveva interrotto la prescrizione quinquennale dell’azione risarcitoria che veniva, dunque, legittimamente promossa nell’anno 2012;

  2. La responsabilità del Ministero della Salute per omesso esercizio dell’attività di controllo e di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica della emotrasfusione e dell’uso di emoderivati trova il proprio titolo costitutivo nell’art. 2043 c.c. e detta responsabilità sussisteva anche prima che il virus dell’epatite C fosse effettivamente identificato (1990).
    Anche nel 1977, infatti, anno in cui erano state effettuate le trasfusioni di cui è causa, era noto che il Ministero fosse tenuto ad adottare le misure possibili per ridurre il rischio di infezione (come ad esempio, in tema di HCV, il controllo circa la mancata presenza di alterazioni delle transaminasi dei donatori).

    Nel caso di specie era stato accertato che tali controlli non erano stati effettuati sui donatori delle sacche trasfuse alla paziente e, pertanto, è incontestabile che sussista la correlativa responsabilità in capo al Ministero.