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Vietato ingannare: così il MDR disciplina la pubblicità dei devices

15/02/2024

Pubblicità dei dispositivi medici: il MDR ha cambiato le regole, anche se a un primo sguardo veloce sembra che nulla sia mutato. Prima si distingueva tra dispositivi medici (dm) per cui la pubblicità era vietata e dispositivi sottoposti ad autorizzazione ex articolo 21 dlgs 46/97. Adesso abbiamo ­– identicamente – dm per cui la pubblicità è vietata (le stesse tipologie) e altri sottoposti ad autorizzazione ex. articolo 26 dlgs. 137/22. Ripercorriamo un po’ la storia.

L’Europa lascia spazio agli Stati membri

La Direttiva 93/42/CEE non conteneva nessuna norma specifica sulla pubblicità dei devices. Il legislatore italiano, al momento del recepimento nazionale della Direttiva stessa, decideva però di introdurre un regime autorizzativo analogo a quello del farmaco attraverso l’articolo 21 Dlgs 46/97, stabilendo per quali dm la pubblicità fosse vietata e per quali invece ammessa previa autorizzazione. Lo stesso Ministero emanava poi il Dm 23 febbraio 2006 stabilendo quali pubblicità erano escluse dal regime autorizzativo.

L’Italia imita il Codice del Farmaco

Né l’articolo 21 Dlgs 46/97 né l’articolo 26 del Dlgs 137/22 davano però indicazioni sui criteri per il rilascio delle autorizzazioni: in altre parole non veniva stabilito da nessuna parte quali erano le condizioni per rilasciare o negare l’autorizzazione. Non sapendo come fare, la Commissione istituita presso il Ministero della Salute (la stessa del farmaco integrata con un funzionario della direzione Dm) decideva di utilizzare i criteri elencati all’articolo 117 del Codice del Farmaco che – per essere più precisi – stabilisce i contenuti pubblicitari vietati. Tale decisione veniva “rafforzata” dalla circostanza che, anche sotto il profilo procedurale, trovava applicazione (questo però per espressa previsione normativa) l’articolo 118 del Codice del Farmaco.

Oggi la partita si gioca sui claims

Con il regolamento Ue 2027/45 (MDR) il quadro viene fortemente innovato. Il regolamento contiene infatti una specifica norma – l’articolo 7 – denominata “Dichiarazioni” (nella versione inglese “Claims”) che stabilisce quali espressioni non possano essere utilizzate per i dm. Più esattamente l’articolo 7 stabilisce che nella pubblicità (ma non solo, anche nell’etichettatura, nelle istruzioni per l’uso, nella messa a disposizione, nella messa in servizio) è proibito il ricorso a testi, denominazioni, marchi, immagini e segni figurativi o di altro tipo che potrebbero indurre l’utilizzatore o il paziente in errore per quanto riguarda la destinazione d’uso, la sicurezza e le prestazioni del dispositivo”. La norma quindi non stabilisce un elenco di divieti (come è l’articolo 117 del Codice del Farmaco) ma introduce un criterio generale di valutazione della pubblicità, esattamente come avviene nel Codice del Consumo.

Provare ciò che si afferma

In sostanza il messaggio non deve essere tale da “ingannare” il sanitario o il paziente circa i profili cardine del dm: vale a dire destinazione d’uso, sicurezza e prestazioni. La stessa norma, poi, continua elencando una serie di situazioni specifiche che potrebbero portare a tale “ingannevolezza”, in particolare:

  1. attribuendo al dispositivo funzioni e proprietà di cui è privo;
  2. creando impressioni errate riguardo al trattamento o alla diagnosi, a funzioni o a proprietà di cui il dispositivo è privo;
  3. omettendo di informare l’utilizzatore o il paziente circa un rischio potenziale associato all’uso del dispositivo secondo la sua destinazione d’uso;
  4. proponendo usi del dispositivo diversi da quelli dichiarati parte della destinazione d’uso per cui è stata svolta la valutazione della conformità.

L’articolo 26 del Dlgs 137/2022, mantenendo in essere il regime autorizzativo per la pubblicità dei dispositivi medici stabilisce poi che per il rilascio di tale autorizzazione occorre rispettare, sotto il profilo sostanziale, i criteri di cui all’articolo 7 MDR.

Non ci sono divieti assoluti

Cosa cambia nella pratica di una azienda? In primo luogo non ci sono divieti assoluti e predeterminati e questo senza dubbio può essere un vantaggio. Ma nello stesso tempo l’aver previsto un criterio generale che richiede una valutazione di natura sostanziale circa la non ingannevolezza, obbliga il fabbricante a una assoluta coerenza e a uno strettissimo legame tra quello che afferma nei claims pubblicitari e quello che ha “provato” nella sua valutazione clinica. Ne consegue che se si afferma una caratteristica del dm non è supportata da dati clinici (secondo la nozione del MDR) tale affermazione è di fatto ingannevole. Un suggerimento è spiegare al Ministero – già in fase di domanda di autorizzazione – la fondatezza e veridicità dei claims per i quali si chiede l’autorizzazione alla pubblicità. Anche per evitare possibili dinieghi o rallentamenti nella procedura autorizzativa.



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Rubrica "I DISPOSITIVI MEDICI TRA NORMATIVA E REGOLATORIO"

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