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Situazione di urgenza e consenso informato. Se manca il consenso, il sanitario può omettere la propria prestazione?
Cass. pen., Sez. IV, 11/07/2018 n. 31628/18
Con la pronuncia in esame, la Cassazione affronta il delicato tema della necessità di acquisire il consenso informato, prima di procedere ad un intervento terapeutico di urgenza.
Due sanitari del Pronto Soccorso di Avellino, difatti, erano stati tratti a giudizio per concorso in omicidio colposo, per aver cagionato la morte di una paziente a causa della mancata somministrazione di terapia antitetanica. Il Giudice di merito era giunto a condanna (riformata in appello per prescrizione del reato), ritenendo come ambedue i medici avrebbero dovuto praticare la necessaria terapia antibiotica ed antitetanica – profilassi questa necessaria proprio in considerazione della natura delle ferite, profonde e sporche di terra.
Tale comportamento – doveroso in ragione delle leges artis e dei protocolli sanitari, oltre che di due circolari della Regione Campania – ove attuato- avrebbe evitato l’insorgenza dell’infezione e il conseguente decesso della donna.
Di diverso avviso la difesa. Per quale ragione, i dottori avrebbero dovuto effettuare un trattamento sanitario, in assenza di un consenso da parte della paziente (prescritto da norme di carattere nazionale), in ragione soltanto di mere circolari in materia (aventi natura sotto ordinata)?
La Cassazione, tuttavia, non ha dubbi: di fronte ad una situazione di pericolo per l’integrità fisica del paziente, il medico, titolare di una posizione di garanzia rispetto allo stesso, ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie, predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.
Del resto, le Sezioni Unite, sent. n. 2437 del 18/12/2008 Ud. (dep. 21/01/2009), Giulini, Rv. 241752), avevano chiarito come “non integra il reato di lesioni personali, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, nel caso in cui questo, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso”.
Insomma: salvare la vita, prevale su tutto. Soprattutto, in casi di emergenza, ove il paziente (come nel caso di specie, affetto da patologia psichiatrica) non sia in condizione di esprimere alcun consenso.
Finalmente una pronuncia che allo sterile formalismo predilige la sostanza.