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Servizi “analoghi” non significa servizi “identici”: l’orientamento giurisprudenziale si rafforza ancora

06/03/2024
Elisa Colona
Consiglio di Stato, sez. V, 15.02.2024 n.1510

La pronuncia oggi in commento rinvigorisce un indirizzo giurisprudenziale già da tempo consolidato sul concetto di “servizi analoghi”.

La controversia posta al vaglio del Collegio scaturiva da una procedura indetta per la fornitura di un’imbarcazione necessaria alla Polizia Locale di Venezia per operazioni di pattugliamento, ricerca e soccorso in mare.

La lex specialis prevedeva tra i requisiti di capacità tecnica e professionale, quello di un certo fatturato derivante dall’esecuzione nell’ultimo triennio di forniture “analoghe” a quelle oggetto di gara, requisito di cui, a parere della seconda classificata, l’aggiudicataria era del tutto carente.

Il TAR Venezia, chiamato a pronunciarsi in primo grado sul ricorso proposto dalla seconda classificata sul presupposto della presunta inidoneità, lo rigettava. La stessa, tuttavia, appellava la sentenza ritenendo che il tribunale di prime cure avesse omesso di accertare il mancato possesso in capo all’aggiudicataria “dell’esperienza di cantiere in lavorazioni analoghe”.

Il Consiglio di Stato, sulla scorta delle considerazioni già svolte dal Tribunale veneziano, rigetta l’appello ed evidenzia l’essenzialità di tenere distinti i concetti di “servizi analoghi” e “servizi identici”, pena una illegittima ed ingiustificata restrizione della concorrenza che il legislatore, proprio attraverso la creazione della nozione “servizi analoghi” ha inteso prevenire.

Quello di “servizio analogo”, ribadisce il Collegio, deve essere inteso nel senso di mera similitudine tra i servizi oggetto di indagine e non come identità; né tantomeno la Stazione appaltante può, in sede di valutazione delle offerte, giungere ad una impropria assimilazione dei due concetti.

L’essenza fondante del concetto di analogia tra i servizi esclude la necessità di una assoluta e perfetta sovrapponibilità tra le caratteristiche del servizio svolto, esigendo al più una assimilabilità quanto a tipologia di esperienza maturata. Solo questa interpretazione consente il contemperamento tra l’esigenza di selezionare un operatore “esperto” con il principio della massima partecipazione alle gare pubbliche.

Attraverso l’imposizione di simili requisiti, infatti, la Stazione appaltante intende esclusivamente vagliare la professionalità e l’esperienza degli operatori nel settore imprenditoriale o professionale cui afferisce l’appalto, accertando preventivamente la capacità dei contendenti di adempiere correttamente agli obblighi prestazionali che deriverebbero da un potenziale affidamento.  L’interesse sotteso non è certamente quello di creare un canale di accesso agevolato a una cerchia ristretta di operatori economici che abbiano svolto prestazioni aventi medesima consistenza di tipo e funzione, ma solamente quello di circoscrivere la partecipazione a soggetti che presentino un certo grado di affidabilità.

Il Massimo Consesso, ritenendo quindi sussistente in capo all’aggiudicataria il requisito di “esperienza maturata in servizi analoghi”, rigetta l’appello confermando la sentenza di primo grado e così anche l’aggiudicazione.

La sentenza in questione, com’è evidente, si inserisce in quel filone di pronunce tese a rimarcare la necessità di far prevalere, in tutti i casi di dubbi interpretativi, il principio di massima partecipazione alle procedure pubbliche su interpretazioni che, invece, creerebbero barriere all’ingresso di nuovi operatori potenzialmente portatori di miglioramento ed innovazione, anche a beneficio della stessa PA.