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La sentenza dei Riders di Foodora spiegata anche in assenza delle motivazioni

16/01/2019

Corte d’appello Torino, dispositivo di Sentenza, 11/1/2019

La Corte d’Appello di Torino decide di cambiare rotta sui riders: sono collaboratori coordinati e continuativi, la cui organizzazione del lavoro è totalmente rimessa al committente. Per questa ragione hanno diritto a vedersi riconosciuti gli istituti del lavoro subordinato.
Di fatto, i riders, devono “ringraziare” il Jobs act.
L’art.2 del D.Lgs.81/2015 prevede infatti l’applicabilità del lavoro dipendente a quelle collaborazioni che sono anche solamente etero-organizzate, e non necessariamente eterodirette.
Vero è infatti che seppure appare abbastanza pacifico che il rider che si appoggi ad una piattaforma informatica e decide, unilateralmente e senza costrizione alcuna, di accettare una determinata consegna propostagli dal committente vada ricompreso nel rapporto di lavoro autonomo, poiché – parrebbe – il dipendente può rifiutarsi di rendere la prestazione, è altrettanto vero che se l’organizzazione del lavoro, con riferimento ai tempi e luoghi dove viene resa la prestazione, risulti etero-organizzata dal committente, vadano riconosciuti al collaboratore le retribuzioni e gli istituti tipici del lavoro subordinato.

Due considerazioni.

La prima è relativa alle conseguenze di una collaborazione “illecita” perché etero-organizzata dal committente. Il contratto non si trasforma in lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. Se ne deduce che non potranno essere accolte, ed infatti sono state rigettate, le domande relative al licenziamento o a pretese offerte di prestazione lavorativa. Il committente paga per il pregresso come se quel collaboratore fosse stato un dipendente (ferie, permessi, tredicesima e TFR), ma non ha rischi per il futuro (quindi il recesso rimane tale, e non si trasforma in licenziamento: non sarà possibile neppure discutere della relativa legittimità dello stesso o di pretendere indennità alcuna).

L’altra considerazione è relativa all’attenzione che deve necessariamente essere posta dalle parti alla formazione del contratto di collaborazione, e alla necessità di condividere a livello negoziale una organizzazione del lavoro con il committente. Lasciare infatti al giudice l’indagine su chi abbia esercitato l’etero-organizzazione appare quantomeno pericoloso, e foriero di sviluppi giudiziali dall’esito incerto. Per attenuare questo rischio, sarebbe opportuno pensare invece di prevedere contrattualmente le modalità di esecuzione e di organizzazione del lavoro, così da deciderne i contorni e (forse) evitare il giudizio. Tanto appresso è ancor più vero nelle strutture sanitarie, dove la possibile organizzazione dei collaboratori ad iniziativa unilaterale della società può costringere poi quest’ultima al contenzioso con soggetti con cui in via continuativa ha operato lungamente. E ciò è, soprattutto sotto il profilo economico, e delle differenze retributive conseguenti che, come visto sopra, potrebbero trovarsi a dover pagare.