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Se il datore di lavoro e’ una “testa di legno” va assolto?

25/05/2021
Laura Asti
Alice Giannini
Cass. pen., Sez. IV, 29-03-2021, n. 11686

La Cassazione Penale, in questa recentissima sentenza, ha affrontato un tema di grande rilevanza:  la responsabilità penale  prevista nel caso di violazione della disciplina antinfortunistica ricade sul datore di lavoro anche se è solo un prestanome?

Un dipendente con mansioni di operaio precipitava da un balcone mentre stava svolgendo attività lavorative volte alla preparazione della verniciatura di un tetto di legno, riportando lesioni guarite dopo più di quaranta giorni.

Nel corso delle indagini emergeva come il lavoratore si fosse recato per la prima volta sul cantiere il giorno dell’incidente e non fosse a conoscenza della mancanza del parapetto. Inoltre, lo stesso non era stato inviato sul luogo dall’imputato, bensì dal padre che era a tutti gli effetti il vero imprenditore, in quanto assumeva tutte le decisioni aziendali. Il legale rappresentante dell’azienda-datore di lavoro, ed imputato in questo procedimento, era però il figlio C.E., che agiva quindi da prestanome nei confronti del padre, deceduto poco dopo l’infortunio.

Il Tribunale di Gela (con sentenza confermata in appello) - pur riconoscendo il ruolo di prestanome – condannava C.E., in qualità di legale rappresentante della società - e riteneva altresì responsabile la s.r.l. ai sensi della normativa 231 (art. 25-septies).

La doglianza principale sollevata dalla difesa dell’imputato, anche in sede di ricorso per Cassazione, atteneva al suo ruolo nell’azienda: il vero “dominus” era il padre e come tale avrebbe dovuto essere l’unico titolare dell’obbligo di garanzia della sicurezza sul lavoro, tanto più se come dimostrato in istruttoria il figlio quel giorno neppure si trovava in cantiere.

La Suprema Corte, tuttavia, dichiara il ricorso inammissibile e ritiene esenti da vizi gli iter argomentativi di cui alla doppia (condanna) conforme.

Le emergenze processuali avevano dimostrato che sul cantiere non erano state poste in atto le misure di sicurezza necessarie ad evitare la precipitazione , il lavoratore non era stato né formato né informato e l’imputato non aveva conferito deleghe in materia di sicurezza.

La Cassazione - nel richiamare quanto affermato dai Giudici di merito - rammenta che  "la circostanza che accanto all'imputato vi fosse la figura del padre, quale soggetto più esperto, aggiungerebbe profili di responsabilità ascrivibili in capo a coloro i quali, accanto al datore di lavoro, avessero di fatto impartito e gestito l'attività, senza escludere, comunque la responsabilità originaria del datore di lavoro (...) a nulla rilevando la circostanza che, in concreto, (...) l'imputato non si trovasse a Gela ma a Rimini per partecipare ad un corso di formazione. A tale riguardo, infatti, permane la responsabilità del datore, nella qualità di garante per la sicurezza dei lavoratori, ancorchè non presente sui luoghi di lavoro, dovendo individuare in tal caso un soggetto responsabile preposto alla vigilanza e al controllo della normativa antinfortunistica. E' emerso, invece, che presso il cantiere ove si era verificato l'incidente, non vi fosse nè l'imputato nè il padre e che, pertanto, non vi fosse nessuno a controllare e a vigilare sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e sul rispetto della normativa antinfortunistica" (così alle pp. 9-10 della sentenza di primo grado).

Ne consegue che il legale rappresentante di una società è sempre destinatario degli obblighi di protezione antinfortunistica (tanto più nel caso di specie ove risultava che alcuna delega in tema di sicurezza era stata conferita) anche qualora agisca come mero prestanome. 

Poco importa, dunque, che in concreto il datore di lavoro sia un altro (in questo caso il padre dell’imputato): il rappresentante legale è garante per la sicurezza dei lavori, anche se non presente fisicamente sul luogo di lavoro stesso. Se del caso alla responsabilità della testa di legno si aggiunge quella del datore di lavoro di fatto (circostanza questa esclusa nel caso di specie soltanto perché il padre risultava deceduto).

Sul fronte della 231, anche l’ente non va esente da condanna: la s.r.l., inoltre, non si era dotata di un piano di formazione di informazione dei lavoratori sul rischio nel luogo di lavoro adeguato, non erano stati attuati presidi di sicurezza e alcun Modello di gestione 231 idoneo a prevenire reati (come quello verificatosi) era stato adottato prima della commissione del fatto.

Ancora una volta la Cassazione ribadisce che il vantaggio per la società ai fini della responsabilità 231 va individuato nel risparmio d’impresa, derivante dalla mandata apposizione di misure di sicurezza, consistenti nel caso in oggetto dalla omessa attività di formazione ed informazione del lavoratore così come la mancata adozione di apposite cautele volte a prevenire il rischio di precipitazioni nel vuoto.