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Responsabilità del datore di lavoro per il danno da stress del dipendente: che cos’è lo straining?

07/12/2022

La Cassazione con la recente ordinanza n° 33428 ha affrontato una questione che si è rivelata negli ultimi anni particolarmente ardua da definire: il danno da stress del dipendente.
Per danno da stress del dipendente (cd. straining) si fa riferimento a un danno patito come conseguenza di una situazione di stress forzato sul posto di lavoro. Tale situazione è caratterizzata, in particolare, da una posizione di inferiorità della vittima, rispetto alla persona che adotta comportamenti stressogeni (cd. strainer), tale da non consentirle di reagire.
Questo istituto di matrice giurisprudenziale è caratterizzato da una connotazione particolarmente ampia e sfocata che ha ingenerato non pochi dubbi, tanto con riferimento all’individuazione dei suoi requisiti essenziali quanto ai criteri di accertamento della responsabilità del datore di lavoro.
a Corte di Cassazione, con l’ordinanza in intestazione, mira a far chiarezza sul fenomeno dello straining, fornendo le coordinate precise per interpretare questa particolare fattispecie.

I giudici hanno individuato gli elementi tipici dello straining per il tramite del confronto con il ben più “noto” mobbing.

Il mobbing si caratterizza per la compresenza di una pluralità di condotte vessatorie ripetute nel tempo (c.d. elemento oggettivo) e dell’intento persecutorio comune a tutti i comportamenti lesivi (c.d. elemento soggettivo). Lo straining differisce dal mobbing in primis per l’assenza di una ripetitività delle condotte lesive. La Corte ha infatti precisato che vi è straininganche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164) o esse siano limitate nel numero (Cass. 29 marzo 2018, n. 7844)”.

Ma non è tutto. La Corte specifica che configurano straining anche quelle condotte che siano colposamente attuate dal datore di lavoro (e dunque in assenza di intenzionalità): “è configurabile lo straining (…) anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291)”.

Quanto invece all’elemento soggettivo che caratterizza il mobbing (ovverosia l’intento persecutorio del datore di lavoro) gli Ermellini appaiono seguire l’orientamento giurisprudenziale più recente secondo cui lo straining prescinde dall’intento persecutorio. Ricostruzione questa che risulta essere assolutamente in linea con il ritenere illegittime anche le condotte colpose (che per definizione non presentano alcuna intenzionalità in chi le attua) del datore di lavoro di cui si è poc’anzi detto. 

Sulla base di tali premesse la Corte ha cassato la sentenza del giudice di secondo grado disponendo il riesame nel merito della domanda risarcitoria del lavoratore ricorrente.

In conclusione, con questa ordinanza, la Cassazione spiana la strada ad un orizzonte di maggiore tutela per la condizione psico-fisica del lavoratore, e al tempo stesso obbliga il datore di lavoro a ripensare al suo margine di responsabilità circa il benessere dei lavoratori sul luogo di lavoro.