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Pubblicità sanitaria e social network: quando un personaggio famoso diventa un testimonial (vietato) per le attività sanitarie?

31/10/2019
Giorgia Verlato
Alessandra Di Nunzio

Come noto, dopo la legge n. 145/2018 (c.d. legge di bilancio) è stato imposto il divieto di elementi promozionali e suggestivi nelle attività di comunicazione sanitaria. Da qui discende l’implicito divieto (forse discutibile) di utilizzare elementi tipici della pubblicità commerciale, quali i testimonial, per il marketing della propria struttura e/o attività sanitaria.

Con lo sviluppo sempre maggiore dei social network, come Instagram, e la ormai pacifica presenza dei c.d. “influencer”, ovvero quelle persone capaci di determinare l’opinione pubblica, il confine tra pubblicità commerciale e libertà di espressione sembra essere diventato molto più labile.

La domanda che sorge spontanea è la seguente:

se un influencer, nel raccontare la propria vita, pubblica, postando delle foto o dei video, i momenti in cui si sottopone a dei trattamenti sanitari elogiando il medico curante o semplicemente pone in evidenza una determinata struttura sanitaria in modo enfatico, sta svolgendo una pubblicità commerciale (diventando così un testimonial) o sta manifestando la propria opinione quale manifestazione della libertà di espressione?

La risposta non pare così immediata per duplici motivi.

Anzitutto, i canali social quali mezzi di comunicazione pubblicitaria, sebbene la loro ormai pacifica affermazione nel digital marketing, non trovano ancora una regolamentazione completa e regolatoria in ogni suo aspetto.

La conformità pertanto di tale mezzo e del suo contenuto con i vincoli della pubblicità sanitaria si può oggi ricavare, anche per esclusione, dalle definizioni normative che caratterizzano la pubblicità commerciale e dalla giurisprudenza in materia editoriale.

Lo IAP (Istituto Autodisciplina Pubblicitaria) ha iniziato a tratteggiare la linea di distinzione tra messaggio a carattere commerciale e contenuto privato dell’utente, sebbene quest’ultimo sia un personaggio famoso.

È stato precisato come non tutte le forme di accreditamento di un prodotto o di un brand da parte di personaggi celebri e influencer comportino un vantaggio per la visibilità, credibilità e reputazione dei medesimi servizi comunicati e costituiscano una comunicazione commerciale.

Sul punto, l’AGCM di fronte a forme pubblicitarie tradizionali ha specificato come la natura promozionale di un messaggio possa evincersi secondo l’individuazione di un rapporto di committenza tra il personaggio famoso e il professionista/struttura sanitaria oggetto della comunicazione social.

In assenza di un tale accordo, nel medesimo senso, assumerebbero rilevanza a fini probatori l’esistenza di elementi gravi, precisi e concordanti dai quali possa desumersi la natura pubblicitaria del messaggio (TAR Roma, 16 settembre 2008, n. 8345).

Al proposito, gli elementi indiziari a cui più frequentemente si è fatto ricorso per verificare la promozionalità della comunicazione sono stati:

  • la coerenza del contesto in cui il presunto messaggio è andato a collocarsi;
  • la forma espositiva;
  • l’assenza di elementi spiccatamente commerciali come i marchi.

Tornando quindi al quesito iniziale, sembra desumersi che se tra il personaggio famoso e il professionista non vi è nessun accordo contrattuale e il primo pubblica il contenuto all’interno del proprio profilo - durante un contesto “routinario” - senza invitare o sollecitare il pubblico a recarsi in quella determinata struttura, lo stesso stia manifestando solamente la propria opinione attraverso il canale social. Diversamente, si comprimerebbe eccessivamente la libertà di espressione degli influencer, che verrebbero limitati per il solo fatto di essere famosi.