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Pubblicità di prodotti cosmetici accostati ai trattamenti medici: la Pronuncia n. 49/2020 dello IAP

18/02/2021
Camilla Anderlini

La pubblicità commerciale, al fine di fare conoscere i prodotti e l’immagine dell’azienda in modo distintivo agli occhi del pubblico, può ricorrere a metafore e analogie.

L’esagerazione allora è ammessa, ma a condizione che sia riconoscibile dall’utente finale e non renda la comunicazione commerciale una comunicazione ingannevole.

Relativamente alle pubblicità con contenuti iperbolici, il settore cosmetico è stato dotato, nel tempo, di una  regolamentazione specifica affinché le affermazioni sulle ca­ratteristiche e sulle qualità dei prodotti siano giustificate e non ingannevoli: ad esempio il Regolamento (UE) n. 655/2013 “che stabilisce criteri comuni per la giustificazione delle dichiarazioni utilizzate in relazione ai prodotti cosmetici”, ovvero il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP).

Tale Codice, sebbene redatto da un organismo privato e applicabile ai soggetti firmatari (Norme preliminari e generali del CA), rappresenta uno strumento di indirizzo utile. Altresì deve dirsi per le Pronunce e Decisioni degli Organi dell’istituto stesso.

In tal senso, è interessante la Pronuncia n. 49/2020 con cui lo IAP ha riconosciuto fondati i motivi che hanno portato L’Oréal Italia SpA a ricorrere contro la propria concorrente Laboratoires Filorga Cosmetiques Italia S.r.l.

Oggetto del ricorso sono una serie di pubblicità che vedono protagonista una crema, chiamata “NCEF-REVERSE”, il cui effetto “anti-età”, secondo le comunicazioni pubblicitarie del laboratorio Filorga, avrebbe la medesima riuscita di un trattamento di medicina estetica.

Più esattamente, sono stati diffusi differenti messaggi via stampa, Tv, web e social in cui si sosteneva che il prodotto avesse pari concentrazione di ingredienti attivi a quella contenuta nelle meso-iniezioni (ovvero un trattamento eseguito da personale sanitario esperto in medicina estetica).

In molti dei mezzi pubblicitari citati, inoltre, si è definito il risultato, ottenibile con l’applicazione della crema, come “equivalente a quella di un trattamento anti-età praticato in studio”, ovvero potente quanto le meso-iniezioni.

Non solo.

La crema “NCEF-REVERSE”, oltre che essere un prodotto di un laboratorio (quale è Filorgia), è stata distribuita sia presso i negozi di cosmetica che presso le farmacie.

La valutazione degli elementi citati, e delle difese delle rispettive Società coinvolte, ha portato l’Istituto a riconoscere la violazione del Codice di Autodisciplina e in particolare degli articoli 2 e 23.

L’art. 2 del Codice, innanzitutto, impone un generale divieto di realizzazione di comunicazioni commerciali ingannevoli.

Devono dirsi ingannevoli, ai sensi della menzionata disposizione, tutti quegli elementi che possano in qualsiasi modo indurre in errore il consumatore, tanto da rendere complessa, se non addirittura impossibile, una scelta di acquisto consapevole e informato (similmente prescrive il Regolamento n. 655/2013 al considerando n. 1).

In modo più specifico, poi, l’art. 23 C.A. regolamenta la pubblicizzazione dei prodotti cosmetici e per l’igiene personale.

In virtù del primo comma, la comunicazione commerciale non può comunicare che simili prodotti abbiano “caratteristiche, proprietà e funzioni diverse da quella di essere applicati sulle superfici esterne del corpo umano, sui denti e sulle mucose della bocca, allo scopo esclusivo o prevalente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto […]”.

In secondo luogo (art. 23, comma 2), la pubblicità non può utilizzare mezzi che permettano al cliente finale di confondere i cosmetici “con i medicinali, con i presìdi medico-chirurgici, con i dispositivi medici e coi trattamenti curativi.”

L’equivalenza tracciata nella pubblicità di Filorgia tra crema e meso-iniezioni, dunque, è stata ritenuta idonea a creare, innanzitutto, un messaggio non veritiero: infatti, non sono state comunicare le reali qualità della crema ledendo così il divieto di comunicazione ingannevole come tracciato dagli artt. 2 e 23, comma 1, C.A..

Il consumatore, in particolare, è portato dalla pubblicità ad aspettarsi degli effetti in realtà non esigibili da un trattamento cosmetico che, come anche provato nel corso del giudizio, non ha le stesse capacità di un trattamento di medicina estetica.

Ma vi è di più.

Le dichiarazioni delle pubblicità sopra citate, che equiparano i risultati della crema a quelli di una prestazione sanitaria, nonché la possibilità di comprare il prodotto presso le farmacie, sono stati riconosciuti dallo IAP come strumenti ingeneranti la confusione con i trattamenti curativi ai sensi dell’art. 23, comma 2.

Le conclusioni dell’Istituto, allora, costituiscono un ulteriore elemento importante al fine di una corretta formulazione della comunicazione commerciale.

Infatti, fatto salvo il doveroso rispetto della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), nonché della possibilità di creare comunicazioni commerciali attrattive e distintive agli occhi del pubblico, anche con il riscorso all’analogia e all’esagerazione, la pubblicità deve essere sempre corretta nei confronti del consumatore (e della concorrenza).

La correttezza del messaggio passa anche attraverso la giusta e veritiera informazione dell’utilizzatore finale che deve essere libero di gestire i propri consumi e, dunque, scevro da influenze che possano modificare la sua percezione del prodotto.