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Pubblicità di prodotti per la depurazione dell'aria anti-Covid19: l’AGCM apre l'istruttoria

17/07/2020

L’8 luglio 2020, l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato (di seguito anche AGCM) ha aperto una procedura di istruttoria nei confronti di un professionista che, attraverso i propri siti, pubblicizzava prodotti per la depurazione dell’aria “capaci” di proteggere dal Coronavirus. (Vedi decisione AGCM).

Tra il materiale contestato emergeva il messaggio raffigurante l’immagine di una ragazza in gravidanza, con lo sguardo rivolto alla pancia e la contestuale immagine del prodotto interessato, il tutto accompagnato dalla specifica secondo cui il depuratore in questione sarebbe stato in grado di eliminare le sostanze nocive presenti nell’aria e pericolose per il feto.

Non solo.

L’ AGCM ha contestato al professionista ulteriori messaggi pubblicitari che, tramite l’inserimento di immagini di personale medico ed elementi tipici dell’ambiente sanitario, inducevano il pubblico a ritenere il dispositivo commercializzato fosses simile per efficacia a quello in uso nelle c.d. camere bianche degli ospedali.

Le comunicazioni proposte dal professionista, tutte integrate da slogan dal tono assoluto, prive però di qualsiasi rigore scientifico, finivano così per determinare uno scenario in cui le affermazioni relative all’efficacia e utilità del dispositivo, anche nella lotta alla diffusione del Coronavirus, nonché nella capacita di preservare la sicurezza del feto e delle donne in gravidanza, “apparivano in grado di fuorviare il consumatore medio e le microimprese destinatarie, portandoli a prendere decisioni di natura commerciale che altrimenti non avrebbero preso.”

I messaggi pubblicitari con cui il professionista ha inteso promuovere i propri prodotti sono stati ritenuti dall’AGCM particolarmente ingannevoli e aggressivi e, perciò tanto, esigenti una immediata azione di censura da parte della stessa già durante la fase istruttoria.

L’Autorità, infatti, in tale situazione ha rilevato la sussistenza sia del fumus boni iuris, sia del periculum in mora rispettivamente individuati nella evidente invasività dei messaggi diretti a influenzare sensibilmente la sfera di decisione degli utenti e, altresì, idonei a sfruttare “sia la vulnerabilità dei consumatori in ragione della pandemia ancora in atto, che la sensibilità delle donne incinte per il paventato pericolo di parti prematuri e di danni gravi e irreversibili al feto”.

L’attività posta in essere dal professionista configura una pratica commerciale scorretta, così come definita dall’ art. 21 del Codice del Consumo, ovvero una “pratica idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore a cui è rivolto.”

Non solo.

I messaggi descritti, infatti, sono connotati dal quel carattere di ingannevolezza che rende illegittima ogni forma di pubblicità secondo le norme di settore (D.Lgs. n. 145/2007, art. 2 [1]) in quanto idonea a rendere in errore il consumatore.

Nel caso di specie, inoltre, si noti come certamente più gravosa sembra l’ingannevolezza dei messaggi dal momento che alludono a capacità curative non corrispondenti al vero, sollecitando oltretutto la sensibilità dell’utenza oggi particolarmente elevata data l’emergenza sanitaria.

 
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[1] D.Lgs. 145/2007 Art. 2  “(…) b) pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione é idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali é rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente