Cass. Pen. Sez. II, 23-12-2020, n. 37381
Non in tutte le occasioni in cui si configura il reato presupposto ed un vantaggio dell’ente quest’ultimo può essere dichiarato responsabile ex D.Lgs. 231/2001.
È quanto stabilito da una recente pronuncia del Supremo Collegio.
In prima analisi, per comprendere l’importanza di tale assunto, è necessario citare l’articolo 5 del D.Lgs. 231/2001 che stabilisce:
“1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.”
Nell’articolo "Il risparmio economico può essere causa di condanna dell'ente ex D.Lgs. 231/2011?" si era già affrontato il tema del vantaggio e dell’interesse dell’ente dell’ambito della normativa 231.
Per quanto oggi di interesse, è utile ricordare che il vantaggio dell’ente consiste nel risultato materiale dallo stesso ottenuto in conseguenza della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica.
Ciò detto, nella pronuncia in commento, i giudici della Suprema Corte hanno espressamente stabilito in quale ipotesi, nonostante sussista la perpetrazione delle condotte delittuose, non possa ascriversi a quest’ultimo la responsabilità di cui al D.Lgs. 231/2001.
Il caso in esame vedeva imputati i legali rappresentanti di due società per i reati di associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni dello stato e malversazione a danno dello Stato, avendo questi, tramite apposite società, percepito illegittimamente ingenti somme di erogazioni pubbliche.
Le società, di cui gli imputati erano legali rappresentanti, venivano condannate in primo e secondo grado a sanzioni amministrative di tipo pecuniario ed interdittivo ex D.Lgs. 231/2001.
Avverso il provvedimento della Corte Territoriale veniva proposto ricorso per cassazione da parte delle Società che deducevano una violazione di legge in ordine alla mancanza di prove sulla sussistenza del vantaggio ottenuto.
La Suprema Corte rigettava il ricorso, ma coglieva l’occasione per stabilire un importante principio di diritto:
“[..] la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dal D.Lgs. n. 231, art. 5 comma 1 lett. a) e b), abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio, ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica”.
Da ciò ne deriva che il giudice deve di volta in volta accertare se la commissione dei reati da parte di soggetti di cui all’art. 5 faccia conseguire un interesse diretto alla Società, escludendosi la responsabilità di quest’ultima qualora i suoi vantaggi derivino solo indirettamente dai reati commessi dai soggetti agenti.
Pertanto, l’assunto di cui al comma 2 dell’art. 5, D.Lgs. 231/2001, ovvero
“l'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”
deve interpretarsi estensivamente, includendo anche le ipotesi in cui ne sia derivato un vantaggio per la società. Infatti, in tali ipotesi non può muoversi un giudizio di responsabilità nei confronti dell’ente in quanto il vantaggio non è attribuibile alla volontà della persona giuridica.
In definitiva, sebbene sia stato accertato il reato presupposto e il vantaggio dell’ente, qualora quest’ultimo sia conseguenza indiretta o fortuita della condotta posta in essere dalla persona fisica, non potrà ascriversi alcuna penale responsabilità all’ente.