Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?

Registrati per accedere ai contenuti riservati e iscriverti alla nostra newsletter

Lesioni personali colpose gravissime causate da un dispositivo medico difettoso e responsabilità penale del distributore: la pronuncia della corte di cassazione

11/05/2021
Laura Asti
Alice Giannini

Cass. pen. sez. IV, 17/04/2019, n. 34886

La vicenda decisa dalla Corte di Cassazione nel 2019 ha ad oggetto i profili di responsabilità penale a carico dei titolari di un’azienda distributrice di un dispositivo defibrillatore-pacemaker per le lesioni personali gravissime patite da una donna impiantata a causa di un malfunzionamento del device. Essendo tutti i reati prescritti, la Cassazione Penale si è espressa sulla responsabilità penale esclusivamente ai fini del risarcimento del danno a favore delle parti civili.

La sentenza è di massima rilevanza in quanto è una delle poche pronunce che tratta specificamente il tema della responsabilità per danno da dispositivo medicale difettoso.

La signora S., affetta da sindrome LQTS associata a sindrome di Gitelman nel febbraio del 2008 – appurata l’inefficacia delle terapie farmacologiche – subiva l’impianto di un dispositivo Cardioverter ATLAS TM+DR, codice V.243, avente funzione di defibrillatore e pacemaker.

Il dispositivo, prodotto negli Stati Uniti, era stato importato e distribuito in Italia dalla St. Jude Medical Italia s.p.a. (succursale italiana della multinazionale americana St. Jude Medical Italia Inc.). Dopo anni dall’impianto del device, una notte, in seguito ad un arresto cardiaco della S., il dispositivo non entrava in funzione. Di conseguenza, nonostante il successivo intervento dei soccorsi e tre interventi con defibrillatori esterni, la S. non riprendeva più conoscenza, entrando in stato vegetativo.

In primo grado, il Tribunale di Milano riteneva che le lesioni causate alla S. fossero il risultato di un difetto di funzionamento del dispositivo medico impiantato, il quale non era entrato in funzione e non aveva perciò erogato le scariche elettriche necessarie alla defibrillazione. Tre sono le norme che vengono in rilievo: l’art. 590, II c.p. (lesioni colpose gravissime), l’art. 112 comma 2 Codice del Consumo e l’art. 112 comma 5 del Codice del Consumo.

Innanzitutto, i giudici ritenevano l’amministratore delegato e il presidente del consiglio di amministrazione della società italiana distributrice del pacemaker responsabili per il reato di lesioni colpose gravissime (art. 590, II c., c.p.) consistenti nello stato vegetativo procurato in capo alla S.

Veniva poi applicato dal Tribunale di Milano l’art. 112 comma 2 del Codice del Consumo (d.lgs. n. 2006 del 2005). Questa fattispecie punisce la condotta del produttore che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, immette sul mercato prodotti pericolosi (I motivi per i quali è stata ritenuta applicabile una norma riguardante la responsabilità del produttore ad un soggetto qualificato dalla magistratura quale distributore sarà analizzata nella seconda parte di questo contributo).

Sia l’amministratore delegato che il presidente del consiglio di amministrazione della St. Jude Medical Italia s.p.a., nonché la società stessa (in qualità di responsabile civile), venivano condannati al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili.

Tuttavia, il Tribunale di Milano applicava l’art. 112 comma 2 Codice del Consumo discostandosi dalla contestazione accusatoria originaria. Secondo la pubblica accusa, infatti, l’amministratore delegato e il presidente del consiglio della St. Jude Medical Italia s.p.a. avevano violato l’art. 112, comma 5, del Codice del Consumo (e non quindi l’art. 112, comma 2, Cod. Consumo), che prevede una sanzione amministrativa in capo al distributore che viola l’art. 104, comma 6 del Codice del consumo, ossia l’obbligo di:

[…] agire con diligenza nell'esercizio della sua attività per contribuire a garantire l'immissione sul mercato di prodotti sicuri; [il distributore] in particolare è tenuto:
a) a non fornire prodotti di cui conosce o avrebbe dovuto conoscere la pericolosità in base alle informazioni in suo possesso e nella sua qualità di operatore professionale;
b) a partecipare al controllo di sicurezza del prodotto immesso sul mercato, trasmettendo le informazioni concernenti i rischi del prodotto al produttore e alle autorità competenti per le azioni di rispettiva competenza;
c) a collaborare alle azioni intraprese di cui alla lettera b), conservando e fornendo la documentazione idonea a rintracciare l'origine dei prodotti per un periodo di dieci anni dalla data di cessione al consumatore finale.

Il dispositivo Cardioverter ATLAS TM+DR era stato infatti segnalato nel gennaio 2008 da parte della St. Jude Medical Inc. alla americana F.D.A. (Food and Drug Administration) per lo stesso difetto in concreto verificatosi ai danni della S. e lo stesso device era stato poi sottoposto ad un recall nell’agosto 2008 da parte della multinazionale, in quanto i dispositivi erano risultati inidonei ad individuare l’aritmia (ponendo quindi i pazienti impiantati a rischio di non ricevere la “terapia salvavita”).

Ad ogni modo, secondo il Tribunale di Milano, non era applicabile l'illecito amministrativo ex art. 112, comma 5 Cod. Consumo, ma il reato previsto dal secondo comma poiché il dispositivo impiantato dalla S. era stato sottoposto da parte della St. Jude Medical Italia s.p.a. all’aggiornamento del software – come da indicazioni espresse della F.D.A. in seguito al recall del 2008.

Gli imputati avevano quindi immesso sul mercato un dispositivo rivelatosi poi “solamente” in concreto pericoloso, in quanto l’aggiornamento era risultato solo in un secondo momento concretamente inidoneo ad evitare il malfunzionamento.

La Corte di Appello di Milano, giudice di secondo grado, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, rilevando il non doversi procedere nei confronti degli imputati anche per il reato di lesioni colpose gravissime, perché estinto per prescrizione, ed escludeva il concorso di colpa della vittima, aumentando perciò l’ammontare delle somme di risarcimento riconosciute a titolo di provvisionale alle parti civili.

Che il dispositivo non abbia funzionato, quindi, appare accertato. Ma esattamente, qual è stata la causa del malfunzionamento? E sulla base di quali elementi il malfunzionamento del device è stato ritenuto imputabile in capo ai distributori?

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso degli imputati agli effetti penali, in quanto non rilevava nei motivi mossi dai ricorrenti l’evidenza della prova dell’innocenza degli imputati.
La sentenza esaminata, quindi, si concentra sulla pronuncia di condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

1. Produttori o distributori?

Nell’esposizione del fatto svolta sopra avevamo evidenziato una “stranezza”, ossia l’applicazione di una norma destinata ad un soggetto produttore (ossia l’art. 112, comma 2 del Codice del Consumo) ad un soggetto qualificato dai giudici quale distributore.

Tuttavia, sappiamo che, ai sensi del regolamento MDR, la St. Jude Medical s.p.a. andrebbe qualificata quale importatore. Tale distinzione non viene rilevata all’interno delle sentenze esaminate, in quanto i giudici fanno riferimento solamente alle figure del produttore e del distributore.

Concentrandosi quindi su queste due figure, gli Ermellini sviluppano un ragionamento interessante, partendo dalla definizione di produttore data dall’art. 103, lett. d) del Codice del Consumo.

Secondo tale articolo, infatti il produttore è definito come:

d) produttore: il fabbricante del prodotto stabilito nella Comunità e qualsiasi altra persona che si presenti come fabbricante apponendo sul prodotto il proprio nome, il proprio marchio o un altro segno distintivo, o colui che rimette a nuovo il prodotto; il rappresentante del fabbricante se quest'ultimo non è stabilito nella Comunità o, qualora non vi sia un rappresentante stabilito nella Comunità, l'importatore del prodotto; gli altri operatori professionali della catena di commercializzazione nella misura in cui la loro attività possa incidere sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti

E quindi, visto che secondo quanto accertato nella ricostruzione dei fatti, la St. Just Medical s.p.a svolgeva anche attività di controllo sulla sicurezza dei dispositivi (incidendo quindi sulle “caratteristiche di sicurezza dei prodotti”, come all’art. 103, lett. d), questa è stata ritenuta (sia dai giudici di merito, che dalla Corte di Cassazione) un produttore ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo ed è stato di conseguenza ritenuto applicabile il reato di immissione in commercio di un prodotto difettoso (art. 112, comma 2, Codice del Consumo).

In altri termini, secondo la tesi della Corte di Cassazione, poiché la società St. Just Medical s.p.a. era un anello della catena di commercializzazione idoneo ad incidere sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto biomedicale, questa deve essere sottoposta al medesimo regime di responsabilità penale riservato al produttore.

2. Produttori-distributori e posizioni di garanzia

Secondo gli ermellini, la Corte di Appello non ha identificato alcuna causa alla base del malfunzionamento del dispositivo e tantomeno ha individuato un difetto di funzionamento che fosse “prevedibile ed evitabile assumendo particolari provvedimenti in fase di produzione, di impianto o di manutenzione”. Non è sufficiente, continua la Corte di Cassazione, qualificare la St. Just Medical s.p.a. quale produttore, e quindi quale titolare di una posizione di garanzia in relazione al rischio derivante dal prodotto difettoso, per ritenerla responsabile a titolo di colpa.

Non si può ritenere evitabile un evento solo perché questo si è prodotto, a prescindere da quanto sia sofisticata la tecnologia del dispositivo medico in questione e da quanti siano i controlli tecnici e di sicurezza ai quali questo è stato sottoposto.

Ed è proprio in questo passaggio fondamentale che gli Ermellini individuano il difetto della sentenza della Corte di Appello di Milano: poiché si trattava di un dispositivo altamente sofisticato (e perciò sottoposto a costanti monitoraggi bioingegneristici che hanno nei fatti permesso di individuare specifici malfunzionamenti), non è stato approfondito quale avrebbe potuto essere la condotta diligente del distributore necessaria per evitare il verificarsi dell’evento dannoso.

Quale è stata la regola cautelare violata dal l’amministratore delegato e dal presidente del consiglio di amministrazione della St. Jude Medical Italia s.p.a. nella loro attività di distribuzione del dispositivo?

Questa domanda non trova risposta.

Viene quindi accolta la tesi difensiva, che lamentava un vizio di motivazione: gli imputati avevano assolto tutti gli obblighi certificativi e di marcatura CE previsti dalla normativa, non era stato possibile leggere i dati della scatola nera del device e pertanto non si era accertato con certezza quale fosse stata esattamente il difetto di funzionamento del dispositivo.

Per questo motivo, la Cassazione annullava la sentenza impugnata ai fini civili.