Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?

Registrati per accedere ai contenuti riservati e iscriverti alla nostra newsletter

LEGGE 231 E SANITA': piccoli passi ma “ben distesi”

03/03/2017

Il decreto 231, ormai più di 15 anni fa, ha introdotto per la prima volta in Italia una specifica forma di responsabilità degli enti per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli stessi da soggetti che rivestano funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione/gestione.

Tale responsabilità, ieri come oggi, si pone in assoluta rottura con i modelli preesistenti poiché, si badi bene, costituisce il superamento del classico principio sulla responsabilità penale delle persone giuridiche “societas delinquere non potest”.

Nelle ipotesi in cui venga commesso uno dei reati espressamente elencati nel D.lgs. 231/2001 alla responsabilità penale della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito si somma quella responsabilità amministrativa della società.

In parole povere, l’ente è dichiarato responsabile 231 per i reati commessi fino a prova contraria (presunzione di colpa). La prova contraria?...: non aver saputo concretamente organizzarsi per la prevenzione del reato commesso da un soggetto appartenente alla propria organizzazione, adottando strumenti concreti e mettendo in atto precise azioni di prevenzione.

A questo punto, sorge spontaneo interrogarsi su quali siano gli strumenti a disposizione per difendersi dall’applicazione delle eventuali sanzioni.

L’art. 6, comma 1 (lett. a) e b), prevede l’applicazione congiunta di due adempimenti a questo fine:

  1. L’adozione di un modello organizzativo di gestione e controllo

  2. La nomina di un organismo di vigilanza.

L’adozione di tali strumenti non sono misure obbligatorie[1], ma se preventivamente adottati e attuati, possono determinare l’esenzione da responsabilità e rappresentare l’unica forma di difesa da parte dell’ente.

Negli ultimi anni anche il settore sanitario si sta orientando verso l’adozione di modelli di gestione del rischio di reato ed in particolare le organizzazioni (pubbliche e private) attive nel comparto. Emblematico, è il caso delle
strutture sanitarie private accreditate, operanti in regime do convenzionamento con il SSN, che evidenziano specifici processi a rischio reato (dalla truffa aggravata ai danni dello Stato, ai reati ambientali in tema di smaltimento dei rifiuti radioattivi).

Sempre più regioni, infatti, si stanno attivando in considerazione della necessità di assicurare che le strutture sanitarie private garantiscano requisiti di affidabilità e onorabilità attraverso l’adozione di modelli organizzativi. Si
pensi alla Regione Lazio (Decreto del Commissario ad Acta U00183/2013), alla Regione Calabria (Legge Regionale n. 15/2008) e alla Regione Sicilia (Decreto 1179/2011 e 1180/2011) che aveva addirittura incentivato l’adozione del modello organizzativo 231 attraverso la previsione di un incremento (dell’1,2% per le case di cura e dello 0,2% per gli altri soggetti accreditati) sul budget delle strutture che avessero provveduto entro l’esercizio 2011. Si tratta di provvedimenti che puntano a incentivare o in alcuni casi a “premiare” l’attivazione di percorsi virtuosi nelle aziende private a carico del SSN, ma soprattutto sono piccoli passi ma “ben distesi” verso la valorizzazione dei Modelli di organizzazione ex D.lgs. 231/2001 concepiti allo scopo di garantire alla controparte pubblica un effettivo livello di legalità, appropriatezza ed efficienza delle prestazioni rese da fornitori privati.

Dati alla mano è in continua crescita l’interesse all’adeguamento da parte delle strutture sanitarie che hanno intuito i benefici economici conseguibili con l’adozione di un Modello, o che semplicemente cercano di sfruttare l’occasione anticipando l’esigenza.

Perché nonostante il dettato legislativo ponga ancora in termine facoltativi la conformazione degli enti in materia 231, è solo questione di tempo prima che l’adozione del modello organizzativo costituisca una condicio sine qua non per gli enti accreditati e un requisito obbligatorio per fatturare al pubblico.  A maggior ragione per gli enti che svolgono un’attività economica che ha come scopo fondante la tutela della salute.

In questa nuova ottica il Modello 231 diventa uno strumento di auto controllo a garanzia di efficienza delle attività erogate con il finanziamento di fondi pubblici e non più percepito dagli imprenditori come un aggravio e come un costo non necessario.

E ci domanderà a che scopo aver aspettato…

O siamo davvero portati a pensare che le citate spinte innovative di matrice regionale possano rimanere isolate nel panorama nazionale?

***

[1] La Corte di Cassazione con sent. n. 32626/2006 ha statuito che il D.lgs. 231/2001 non “prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei Modelli Organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità, in altri un sollievo sanzionatorio (…)”