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JOBS ACT: puo davvero il datore di lavoro modificare le mansioni del dipendente a proprio piacimento?

07/03/2016

Prendiamo come spunto di riflessione due sentenze: la recente della Cassazione n.ro 25780 del 22/12/2015, nonché una del Tribunale di Roma.

Entrambe sono utili al fine di comprendere in concreto ciò che era (ed è oggi) consentito al datore di lavoro in termini di modifiche alle mansioni del lavoratore (ius variandi).

Alla luce infatti dell'intervento normativo operato proprio dalla recente riforma del Jobs Act, le cose sono infatti un po' mutate rispetto al passato.

Il “potere” datoriale di modificare le mansioni dei propri dipendenti era (ed è) disciplinato dall'articolo 2103 del codice civile il quale, nella sua vecchia formulazione, consentiva all'imprenditore, entro certi limiti, di adibire il lavoratore a mansioni superiori (mobilità verticale) oppure a mansioni equivalenti alle ultime svolte (mobilità orizzontale).

Certamente non poteva essere il lavoratore adibito a mansioni inferiori, salvo esigenze straordinarie e comunque per un tempo limitato.

La sentenza della Cassazione su citata affronta proprio il caso di un lavoratore che dal giugno 2002 all'ottobre 2003 lamentava un demansionamento in ragione di una sostanziale rimozione della precedente posizione lavorativa ed un impoverimento delle mansioni precedentemente affidate.

Ovviamente un trasferimento del lavoratore ad un diverso settore lavorativo non comportava di per sé una dequalificazione professionale (purché il mutamento di mansioni fosse giustificato da stringenti esigenze organizzative, oppure in ragione di una profonda ristrutturazione aziendale).

Se le mansioni affidate al lavoratore non risultavano avere un “valore professionale” comparabile con quelle precedenti, né le mansioni di destinazione consentivano l'accrescimento del corredo di esperienze acquisite dal lavoratore, non si poteva essere nel campo dell'equivalenza quanto piuttosto in quello della “dequalificazione” (e difatti dal caso della Cassazione su citata si evince proprio questo danno la stessa ragione al lavoratore).

Oggi però con la parziale riscrittura dell'articolo 2103 del codice civile ad opera del Jobs Act, l'equivalenza delle mansioni non deve più tener conto dei compiti effettivamente svolti dal lavoratore o del livello professionale da questi raggiunto, ma occorre guardare solo le mansioni che possono essere ricondotte allo stesso livello di inquadramento.

Il giudizio di equivalenza pertanto deve ora essere condotto assumendo quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto.

A differenza del passato è oggi legittimo lo spostamento del lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento cui appartenevano quelle svolte in precedenza dallo stesso dipendente (con un indubbio vantaggio anche in termini di onere probatorio in capo al datore di lavoro nel caso di contestazione).

Per quanto attiene ai tempi di applicazione si segnala la recente sentenza del Tribunale di Roma (30 settembre 2015) secondo la quale il novellato art. 2103 c.c. si applica anche ai rapporti già in corso alla data della sua entrata in vigore e estende i suoi effetti anche nei confronti di variazioni di mansioni che siano state disposte prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e che esplichino i propri effetti anche successivamente al 25 giugno 2015

Di tutti questi aspetti, nonché delle relative problematiche, si parlerà al convegno che si terrà a Bologna il prossimo 19 marzo. A tale incontro è stato chiamato ad intervenire anche il prof. Taddei, ovvero l'estensore del Jobs Act.