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Infortunio sul lavoro e subappalto: la responsabilità penale è della sola impresa appaltatrice o anche della committente?
Cassazione, Sez. IV, n. 22013/2018
È sufficiente affidare i lavori a terzi, per “liberarsi” dal cappio della responsabilità penale in caso di infortuni sul lavoro? È questo il quesito a cui la Cassazione si è trovata a dover rispondere, con la recente sentenza n. 22013/18 depositata lo scorso 18 maggio. La questione è di certo di grande interesse, in quanto le lesioni personali colpose (gravi o gravissime) cagionate in violazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro possono trascinare a giudizio non solo il titolare dell’azienda, ma altresì l’ente per responsabilità ex d. lgs. n. 231/2001, qualora il reato sia avvenuto anche a suo vantaggio od interesse. Il che si traduce in sanzioni pecuniarie ed interdittive di indubbia invasività, applicate – in alcuni casi – anche in fase preventiva/cautelare.
Nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini, all’imputato – A.D. di una società e responsabile di cantiere – veniva contestato di aver affidato parte dei lavori in subappalto ad altra azienda senza verificarne (in violazione dell’art. 26 del T.U. n. 81/2008) l’idoneità tecnico professionale. Lo stesso, inoltre, veniva accusato di aver “tollerato” che il dipendente dell’impresa appaltatrice – poi infortunatosi - utilizzasse un attrezzo pericoloso, così determinando lesioni personali guaribili in 4 mesi.
L’incidente si verificava, difatti, perché il lavoratore – che eseguiva la posa in opera di piastrelle di un porticato esterno – per tagliare a misura una delle mattonelle aveva inserito nella mola il blocco dell’accelerazione così da poter ruotare il disco anche tenendo la macchina con la sola impugnatura laterale e non – come avrebbe dovuto – con ambedue le mani. Nel compiere tale operazione, al lavoratore sfuggiva la mola così da colpire due dita della mano sinistra.
La responsabilità del datore di lavoro (titolare dell’impresa appaltatrice) veniva affermata senza grandi difficoltà: lo strumento di lavoro non solo era inadeguato ma certamente pericoloso ed il lavoratore non aveva neppure una idonea formazione.
E quanto alla ditta committente? Per la Cassazione, non ci sono dubbi: è responsabile, così come l’impresa affidataria per “omesso controllo dell’adozione da parte del sub-appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro” in quanto “titolare di una posizione di garanzia”. È certo, inoltre – precisa la Suprema Corte – che “quando si manifesti una situazione di pericolo immediatamente percepibile che non sia meramente occasionale” la committenza non può non attivarsi.
E nel caso di specie, i lavori appaltati si svolgevano da diversi giorni e risultavano ancora in fase di ultimazione. Insomma, il committente non poteva “non vedere”.
Qualche breve riflessione.
Mandare esente la committenza da qualsivoglia responsabilità penale – anche in casi “limite” come quello all’attenzione della Suprema Corte – significherebbe incentivare pratiche poco virtuose, così da consentire l’affidamento dei lavori a chicchessia, in ragione di logiche di profitto che possono – in alcuni casi – “cozzare” con la tutela di beni di rango costituzionale, quale il diritto alla salute dei lavoratori.
Se di casi limite non si parla, invece, appare opportuno che le maglie della responsabilità penale non si allarghino a dismisura. Se l’impresa committente si è scrupolosamente attivata per ricercare una azienda affidataria seria e scrupolosa deve poter stare “a cuor leggero”. In caso contrario, quella responsabilità penale si ridurrebbe ad una responsabilità oggettiva, in pacifica violazione dei dettami costituzionali.