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IMPRESE CINESI E MARCATURA CE: come riconoscere quando un concorrente extra UE “bara” (ma, soprattutto, commette reato di contraffazione)

11/12/2014
Valeria Fabbri

Cass. Pen., sez. III, n. 45916/14,  depositata il 6.11.14

Forse non tutti conoscono il gemello “cattivo” della marcatura CE, ma esiste: trattasi del marchio cinese “China Export” (anch’esso CE sui prodotti), qualificato di recente come un caso di contraffazione dalla Suprema Corte.

Il marchio, nato dall’iniziativa di alcune aziende cinesi, non ha nulla a che vedere con il rispetto da parte dei prodotti dei requisiti di sicurezza imposti dalla normativa comunitaria.

Certo è che genera una certa confusione tra il pubblico, convinto, stante la pressoché totale identità tra i due segni, di avere a che fare con la classica marcatura CE di conformità.

La differenza tra i due simboli è, in effetti, quasi impercettibile, dal momento che si fonda sulla distanza tra le lettere C ed E: nel marchio cinese la C e la E sono quasi unite, mentre nella marcatura CE originale  sono più distanziate (tra la C e la E deve, infatti, esserci posto quasi per un’altra C rovesciata).

Il caso da cui ha tratto origine la pronuncia della Suprema Corte riguarda un venditore ambulante, sorpreso a detenere nel bagagliaio del proprio furgone, palesemente adibito al trasporto delle merci da vendere, svariati modelli di occhiali da sole marcati “China export”.

La Corte di Cassazione, oltre a riconoscere nel marchio cinese un caso di contraffazione, ha altresì chiarito quando, in presenza di detto marchio, possa configurarsi pure il tentativo di contraffazione, anch’esso punito penalmente.

In particolare:

  • sull’apposizione del marchio “China export”: a giudizio della Suprema Corte, trattasi di caso evidente di contraffazione della marcatura CE di conformità, dal momento che i consumatori/utilizzatori non sono in grado di distinguere tra i due, essendo il marchio cinese quasi identico a quello comunitario (le minime variazioni grafiche, tra cui la distanza tra le lettere, non sono state giudicate come idonee a far percepire la differenza);

  • sulle modalità di commissione del reato e sul tentativo: la contraffazione, poi, non viene punita solo in caso di vendita effettiva della merce, ma anche quando si accerta che un bene contraffatto è destinato ad essere venduto. Qui parliamo di tentativo che, secondo la Corte, si configura quando le merci, non ancora immesse in commercio, vengono conservate in magazzino. In tal senso, godono di protezione contro la contraffazione non solo i consumatori, ma anche tutti gli altri soggetti intermedi della filiera distributiva. Ergo, commettono tentativo di contraffazione ai danni degli altri commercianti anche il venditore all’ingrosso o il fabbricante che stoccano in magazzino prima dei passaggi di vendita successivi.