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Il licenziamento a seguito del rifiuto del lavoratore di passare ad orario part-time non è ritorsivo, se motivato da concrete esigenze economico organizzative

20/09/2023
Cass.Civ,  Sez. Lav., 09/05/2023, n. 12244

Con la recente ordinanza n. 12244 del 3 maggio 2023 la Cassazione si è pronunciata su un tema di particolare complessità, ossia la natura ritorsiva del licenziamento a seguito del rifiuto del dipendente di accettare la riduzione dell’orario lavorativo, da un full time ad un part-time.

Nel caso di specie, la dipendente, dopo aver opposto il proprio rifiuto alla proposta di variazione oraria, veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo. Licenziamento successivamente impugnato poiché ritenuto ritorsivo.

La controversia intentata dalla lavoratrice è giunta sino in Cassazione la quale, nel dirimere la questione, si è soffermata sull’asserita violazione dell’art.8, co.1 del D.lgs.81/2015, secondo cui il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno in parziale, e viceversa, non può costituire motivo di licenziamento.

La Corte precisa che, seppur la norma soprarichiamata rappresenti una tutela rafforzata del lavoratore contro eventuali illecite condotte datoriali, il licenziamento a seguito del rifiuto del lavoratore di accettare la variazione oraria non è tuttavia di per sé circostanza idonea a dare prova del motivo ritorsivo, e quindi sufficiente a dichiarare la ritorsività del licenziamento.

La Cassazione ribadisce infatti che, secondo i principi oramai consolidati della medesima Corte (da ultimo, cfr. Cass. 28399/2022), l’intento ritorsivo del datore di lavoro deve costituire il presupposto determinante ed esclusivo del licenziamento, dovendone il lavoratore fornire piena prova, o quanto meno la legittima presunzione. Secondo la Cassazione, tuttavia, la lavoratrice non aveva fornito prove sufficienti per dimostrare l’intento ritorsivo del datore di lavoro.

In aggiunta, il licenziamento risulterebbe legittimo in quanto fondato su effettive – e comprovate - esigenze economiche ed organizzative dell’azienda, tali da consentire il mantenimento della lavoratrice solamente con l'orario ridotto. La condotta in concreto adottata dal datore di lavoro, peraltro, dimostrerebbe come questi avesse concretamente adempiuto al proprio obbligo di repêchage – in quanto, nel corso di una riunione, l’azienda aveva già prospettato alla lavoratrice l’eventualità di accettare la riduzione oraria a fronte del licenziamento -.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso, da un lato, per mancato assolvimento dell’onere della prova, da parte della lavoratrice, circa il carattere ritorsivo del licenziamento; dall’altro, per aver ritenuto lo stesso al contrario legittimo in quanto fondato su un giustificato motivo oggettivo e comminato dall’Azienda solamente come extrema ratio al rifiuto della lavoratrice.