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Il D.L. n. 69/2023 modifica le regole (e i divieti) della pubblicità sanitaria: cosa cambia rispetto a prima?
L’agosto scorso sono entrate in vigore le modifiche apportate dal D.L. n. 69/2023 all’art. 1, comma 525, L. n. 145/2018 volta a regolamentare la pubblicità svolta dalle strutture sanitarie private di cura e dai professionisti sanitari.
Come noto, la novella del 2018 introduceva delle regole ben precise in materia di pubblicità, imponendo che la comunicazione sanitaria dovesse contenere “unicamente le informazioni previste dal D.L. n. 223/2006” (c.d. Legge Bersani) ossia i titoli, le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio“(…)funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria”.
Tra gli elementi allora più discussi della citata disposizione vi era il divieto di inserire elementi promozionali o suggestivi all’interno di una attività pubblicitaria. Una simile restrizione sembrava infatti essere un elemento ostativo alla stessa attività pubblicitaria (della serie: come si può fare pubblicità senza elementi promozionali o suggestivi?).
Ad aggravare la situazione di incertezza vi era l’assenza di una puntuale definizione normativa di promozionale e suggestivo, cui conseguiva una discrezionalità interpretativa sia in capo agli erogatori sanitari interessati all’attività pubblicitaria, sia in capo agli enti deputati a controllare la correttezza della stessa.
Dopo anni di disomogeneità applicativa della norma e di solleciti a intervenire da parte dei soggetti direttamente coinvolti, il legislatore ne ha recentemente modificato il contenuto. Più esattamente il testo, così come modificato dell’art. 1, comma 525, L.n. 145/2018, prevede che la comunicazione sanitaria debba contenere “unicamente le informazioni previste dal D.L. n. 223/2006 (…)funzionali a garantire il diritto ad una corretta informazione sanitaria, restando escluso, nel rispetto della libera e consapevole determinazione dell'assistito, della dignità della persona e del principio di appropriatezza delle prestazioni sanitarie, qualsiasi elemento di carattere attrattivo e suggestivo, tra cui comunicazioni contenenti offerte, sconti e promozioni, che possa determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari.
Analizziamo ora i più importanti cambiamenti apportati dal legislatore alla disciplina.
Anzitutto, non vi è più il richiamo al divieto di inserire elementi promozionali o suggestivi, bensì un divieto a inserire all’interno della pubblicità elementi di carattere attrattivo e suggestivo, tra cui offerte, sconti e promozioni.
Sebbene anche il termine attrattivo non sia chiaramente definito dal legislatore, guardando alla mera semantica della parola si potrebbe addurre che lo stesso indichi un “genus”, di cui il carattere promozionale potrebbe essere una species.
Ad avvalorare tale interpretazione risulterebbe proprio l’esemplificazione svolta dallo stesso legislatore, ossia il richiamo a vietare la comunicazione di tutte quelle attività volte a offrire vantaggi di natura economica diretta o indiretta.
Un’ulteriore differenza che emerge dal testo novellato risiede nel fatto che, mentre prima risultava sufficiente l’inserimento di un elemento promozionale o suggestivo per violare la norma, oggi è necessario che l’elemento risulti attrattivo e suggestivo.
Sebbene ad un primo impatto questo potrebbe sembrare un elemento di favore degli operatori sanitari, l’assenza di puntuali definizioni normative continua a incidere sulle difficoltà di comprendere correttamente ciò che (oggi) è attrattivo e ciò che risulta suggestivo (sul punto ci si aspetta inevitabilmente un chiarimento da parte della giurisprudenza di settore).
Ma qualsiasi elemento attrattivo e suggestivo è vietato?
In realtà, non qualsiasi elemento attrattivo e suggestivo è vietato, ma solo quello che potrebbe determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari.
Ed è probabilmente questa, secondo chi scrive, la specifica più interessante inserita dal legislatore. Quest’ultimo infatti ha esplicitato effettivamente la ratio dei limiti rinvenibili all’interno di una pubblicità che comunica servizi sanitari (latamente intesi).
Le strutture sanitarie e i professionisti sanitari (es. odontoiatri, medici, farmacisti, ecc) nella loro attività comunicativa si rivolgono ad un pubblico c.d. “debole”, cui sono destinate cure e trattamenti sanitari che quindi necessitano di una particolare tutela.
Tuttavia, sebbene sia condivisibile il principio secondo cui la comunicazione in ambito sanitario debba essere connotata da una peculiare sensibilità, l’attuale formulazione del testo legislativo sembra rappresentare oggi una occasione persa per disciplinare (finalmente) in modo chiaro e univoco la pubblicità sanitaria.