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Gestori motori di ricerca, svolta sulla loro responsabilizzazione

22/10/2019
Vittoria Piretti
Corte di Giustizia Europea, 24/09/2019, C-136/2017

I motori di ricerca sono diventati il cuore dell’informazione e della visibilità da parte di tutti. Dai motori di ricerca e dall’indicizzazione di una notizia, infatti, è possibile avere grande notorietà, ma anche grandi danni all’immagine.

L'indicizzazione di un sito internet, in altre parole, è il modo in cui il sito viene acquisito e interpretato dai motori di ricerca e di come lo stesso sito poi compaia nelle pagine di risposta alle interrogazioni effettuate dagli utenti del web.
Questa operazione, quindi, deve considerarsi elemento chiave della visibilità e del “posizionamento sul web” e, proprio per questa rilevanza, non è possibile prescindere dal fatto che la stessa, se fatta senza regole e senza tenere conto delle istanze degli utenti, possa diventare una vera e propria gogna mediatica e possibile fonte di danni all’immagine e alla reputazione degli interessati.
 

Altro aspetto di non minore rilevanza collegato alle modalità di indicizzazione, sono le possibili problematiche che possono scaturire in termini di esercizio dei diritti fondamentali degli utenti.   

Ciò posto, cosa potrebbe succedere se una notizia non corretta - riferita ad una persona fisica - non solo venisse pubblicata in rete, ma continuasse ad essere riproposta dai motori di ricerca pur non corrispondendo alla verità? 

Quali potrebbero essere le tutele per l’interessato/vittima della notizia “non corretta” o falsa previste rispetto all’operato dei gestori di motori di ricerca che nonostante varie segnalazioni dell’utente continuino a non modificare l’indicizzazione delle ricerche? 

Il problema, non da ultimo e forse non per ultimo, si è posto ad un cittadino francese e si è risolto nel settembre 2019 avanti alla Corte di Giustizia UE nei seguenti termini. 

Il caso è scaturito a seguito dell’accoglimento da parte della CNIL in data 21 maggio 2015 della richiesta di un cittadino francese diretta contro Google e volta ad ottenere la soppressione di taluni link dal motore di ricerca che lo riguardavano e che riportavano dati sensibili non corretti in merito all’esito di un procedimento penale a suo carico

La CNIL, infatti, in tal data, accoglieva le istanze avanzate dall’utente e intimava a Google di procedere alla cancellazione delle notizie non veritiere su tutte le estensioni del nome di dominio sul suo motore di ricerca. 
Google si rifiutava di dare seguito a detta diffida, unicamente limitandosi a sopprimere i suddetti link dai risultati visualizzati in esito alle ricerche effettuate sul suo motore di ricerca e relative allo Stato Membro di appartenenza del richiedente (la Francia). 
Dopo aver preso atto della mancata conformazione a quanto prescritto nella diffida, in data 10 marzo 2016, la CNIL infliggeva quindi a Google una sanzione di circa 100.000 euro. 

Il gestore del motore di ricerca proponeva così ricorso avanti al Consiglio di Stato francese chiedendo l’annullamento di quanto previsto e adducendo che il diritto alla deindicizzazione vantato dal cittadino leso non comportasse necessariamente che i link controversi dovessero essere soppressi su tutti i nomi di dominio del suo motore di ricerca (e, quindi, senza limitazioni geografiche). 

Il Consiglio di Stato, pertanto, a fronte della complessità della questione sollevata, si rivolgeva alla Corte Ue chiedendo se l’art. 12 lett. B e l’art. 14 lett. A Dir. 95/46 e l’art. 17, p.1 del Reg. 679/2016 dovessero essere interpretati nel senso che, in caso di accoglimento di una domanda di deindicizzazione, il gestore di un motore di ricerca ai sensi delle suddette disposizioni sia tenuto:

  • ad effettuare quest’ultima su tutte le versioni del suo motore di ricerca;
  • o se, al contrario, sia tenuto ad effettuare tale deindicizzazione solo sulle versioni corrispondenti a tutti gli Stati membri oppure solo sulla versione corrispondente allo Stato membro in cui è stata presentata la domanda di deindicizzazione.

La svolta della pronuncia emanata dalla Corte di Giustizia sulla base della Direttiva 95/46 così come abrogata dal Regolamento UE 679/2016, parte dal fatto che è stato nettamente valorizzato il ruolo e la responsabilità di Google, dato il peso dell’attività svolta dai motori di ricerca sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali. 

Nel dettaglio, la Corte ha stabilito che Google, in quanto soggetto che determina le finalità e gli strumenti del motore di ricerca, debba garantire, nell’ambito delle sue responsabilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni del diritto dell’Unione e, in caso di richiesta, debba procedere alla deindicizzazione per tutti gli Stati membri e non solo nella versione corrispondente allo Stato membro di residenza del beneficiario della stessa.

Sono quattro i punti di maggiore rilievo che si possono evincere dalla pronuncia rispetto al ruolo di gestore di un motore di ricerca (nel caso specifico Google):  

  1. Google deve ritenersi responsabile rispetto l’indicizzazione della pagina e della visualizzazione del link in esito alle ricerche effettuate dagli utenti;  
  2. nel momento in cui riceve una richiesta di deindicizzazione riguardante un link verso una pagina internet nella quale sono pubblicati dati sensibili, Google deve verificare se l’inserimento di detto link nell’elenco dei risultati si riveli strettamente necessario per proteggere la libertà di informazione degli utenti che hanno effettuato la ricerca; 
  3. nell’effettuare il bilanciamento tra il diritto di informazione degli interessati e il diritto alla deindicizzazione del singolo, Google dovrà poi tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, nonché delle ripercussioni della pubblicazione della notizia per l’interessato;
  4. in ogni caso, nel caso in cui Google ritenga che il richiedente non abbia diritto alla deindicizzazione, è tenuto a sistemare l’elenco dei risultati in modo tale che l’immagine globale che risulti dal web rifletta effettivamente la situazione attuale (ad es. fare comparire per primi nell’elenco di ricerca i link verso pagine Internet aggiornate).

Sicuramente, quindi, la sentenza in questione pone un accento sull’importanza e sulla responsabilizzazione dei gestori dei motori di ricerca che, in tema di trattamento di dati sensibili, alla luce del disposto, dovranno ritenersi attori fondamentali rispetto le tutele da porre in essere in favore dei diritti dell’utente e non solo mere entità esterne fornitrici del servizio del tutto avulse dai meccanismi di protezione degli interessati.