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Dipendente contagiato da Covid-19: ecco cos'è chiamato a fare il datore di lavoro
Le indicazioni utili per la gestione di dipendenti risultati positivi al Covid-19 sono contenute nel “Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, aggiornato da ultimo al 4 marzo 2021.
Facciamo chiarezza.
Il dipendente ha l’obbligo di dichiarare immediatamente la positività al datore di lavoro, al medico del lavoro e ad eventuali suoi colleghi/fornitori/clienti con cui abbia avuto contatti lavorativi. L’azienda è tenuta ad avvertire le Autorità Sanitarie competenti e i numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute.
A questo punto, è opportuno operare una distinzione a seconda che il dipendente sia risultato positivo durante il lavoro o al di fuori del luogo di lavoro.
Nel primo caso si deve subito procedere al suo isolamento, l’Autorità Sanitaria competente, con cui l’azienda è tenuta a collaborare, avvierà l’inchiesta epidemiologica volta ad individuare eventuali contatti stretti. Nell’attesa, il datore di lavoro potrà chiedere ai possibili contatti di lasciare cautelativamente il luogo di lavoro in isolamento volontario fino al completamento dell’indagine. La presenza di un caso positivo in azienda comporta anche la necessità di provvedere all’areazione dei locali e alla disinfezione straordinaria, secondo le modalità descritte nel protocollo ministeriale.
I dipendenti individuati come contatti stretti del lavoratore positivo verranno posti in quarantena, la durata prevista è di 14 giorni a decorrere dall’ultimo contatto con il caso, ridotta a 10 giorni in caso di risultato negativo a un test antigenico o molecolare. Sul punto l’INPS precisa che la quarantena non è incompatibile con l’attività lavorativa, pertanto, se le mansioni lo consentono e dietro accordo con il datore di lavoro, il dipendente può continuare a prestare la sua attività in smart working e a percepire l’intera retribuzione. Qualora ciò non sia possibile, il periodo trascorso in quarantena sarà trattato dall’azienda come malattia o degenza ospedaliera e tali giorni non potranno essere computati ai fini del superamento del periodo di comporto. Se durante il periodo di malattia è stata attivata dall’azienda la cassa integrazione o altro ammortizzatore sociale, a prevalere è il trattamento di integrazione salariale sul trattamento di malattia.
Per i dipendenti che non risultino contatti stretti del lavoratore positivo, invece, non è previsto alcun obbligo di quarantena né di esecuzione di test diagnostici.
Nel caso in cui il dipendente sia risultato positivo al di fuori del luogo di lavoro, sarà sufficiente sospendere l’attività per il tempo necessario per procedere alla sanificazione straordinaria dei locali, dare comunicazione dell’assenza al medico competente e riprendere l’attività lavorativa, attendendo dalle Autorità Sanitarie eventuali ulteriori disposizioni.
Premettendo che è difficile provare il nesso causale dell’avvenuta infezione da Covid-19 in azienda, nel caso di comprovato contagio di un dipendente sul luogo di lavoro o in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa, l’evento verrà trattato come infortunio sul luogo di lavoro e non come malattia: il datore di lavoro effettuerà la denuncia di infortunio e il lavoratore percepirà la relativa indennità, fermo restando che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non ha alcuna correlazione con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro, ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dai protocolli e dalle linee guida.
I lavoratori positivi al COVID-19 potranno rientrare sul luogo di lavoro solo a seguito di preventiva comunicazione contenente la certificazione medica da cui risulti l’avvenuta negativizzazione del tampone.