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DANNO “ESISTENZIALE”: si al risarcimento se si verifica una modificazione peggiorativa della vita quotidiana
CASS, CIVILE, SEZIONE III, 22/08/2013, N. 19402
Il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale è da sempre al centro di diatribe in dottrina e giurisprudenza, specie in ordine alla corretta e puntuale individuazione delle diverse voci che lo compongono.
Il rischio, da sempre avvertito, è quello della c.d. “duplicazione delle poste di danno”, che si verifica quando il medesimo aspetto (o la medesima voce di danno) venga computato due o più volte, sulla base di mere diversificazioni di carattere nominalistico - formale. Dall’altro lato, però, da sempre parimenti avvertito é il rischio – uguale e contrario – dei c.d. “vuoti risarcitori” derivanti da una mancata corretta valutazione delle diverse prospettive di analisi del medesimo evento lesivo.
Ed ecco che, con la sentenza qui in commento, la III Sezione della Corte di Cassazione ha colto non soltanto l’occasione per fornire una ampia ed articolata ricostruzione storica della materia ma ha altresì cercato di indicare alcuni criteri per distinguere – all’interno della generale categoria del “danno non patrimoniale” – fra danno biologico, danno morale e danno “esistenziale”.
Il caso è quello di una famiglia che aveva agito in giudizio per ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della prematura scomparsa del figlio vent’enne a seguito di un incidente stradale.
In primo ed in secondo grado la madre, il padre ed il fratello della vittima avevano visto riconoscersi una somma a titolo di risarcimento del danno biologico e morale subito, ritenuto però dagli stessi insufficiente, specie alla luce del fatto che sarebbe mancata, in tale computo, la valutazione dell’entità del danno c.d. “esistenziale”, ritenuto meritevole di autonomo risarcimento.
Detta voce di danno, nell’opinione dei ricorrenti, doveva essere singolarmente considerata in quanto chiamata a risarcire la lesione di un diverso interesse, che è quello “(…) correlato alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la famiglia (…)”.
Ed ecco che la Suprema Corte, dopo aver tratteggiato le linee della evoluzione giurisprudenziale in materia (dalle c.d. “sentenze gemelle” del 2003 sino alle più recenti pronunce), ha ritenuto di dover dare continuità ai richiamati precedenti, affermando che “(…) il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo. In altre parole, un determinato evento può causare, nella persona stessa della vittima come in quelle dei familiari, un danno alla salute medicalmente accertabile, un dolore interiore ed una alterazione della vita quotidiana (…) Appare evidente che la Corte ha confuso i piani sopra ricordati, in quanto ha dimostrato di non aver adeguatamente valutato (…) i profili della lesione del rapporto parentale conseguenti alla morte del ragazzo. La tragica fine di un vent’enne, infatti, potrebbe avere effetti anche devastanti sui genitori e sul fratello superstite, che il giudice di merito è tenuto a valutare anche alla luce degli insegnamenti di questa Corte. Ciò non si traduce (…) in un automatismo risarcitorio, ma implica comunque l’obbligo di prendere in considerazione il problema, potendosi altrimenti determinare la conseguenza di un vuoto risarcitorio che non risponde alla logica dell’art. 2059 c.c. e dei valori fondanti della nostra Costituzione (…)”.
Cassata, dunque, la sentenza di secondo grado con rinvio alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché quest’ultima accerti se, a seguito del fatto lesivo, si sia effettivamente verificato per i superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse e da giustificare, dunque, il risarcimento in via autonoma del danno “esistenziale”.