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Basta l’assenza delle scritture contabili o la loro irregolare tenuta perché si parli di bancarotta fraudolenta documentale?
Cass. Pen., Sez. V, 21/01/2021, n. 2483
Con due interessanti e recenti pronunce la Cassazione si è espressa in tema di bancarotta fraudolenta documentale, fornendo spunti di particolare interesse.
La fattispecie in oggetto è ancora regolata dall’articolo 216 comma 2 Legge Fallimentare che prevede due distinte condotte:
- la sottrazione, distruzione e falsificazione, totale o parziale, dei libri e delle scritture contabili con lo scopo di procurare un ingiusto profitto o un pregiudizio ai creditori
- e la tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili in modo da rendere non possibile la ricostruzione del patrimonio aziendale o del movimento degli affari.
In data 01.09.2021, difatti, entrerà in vigore il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (D.lgs 12 gennaio 2019, in attuazione della l. 155 del 19 ottobre 2017) la cui vigenza è stata prorogata a seguito del decreto Liquidità (art. 5 DL n. 23/2020) e la fattispecie in oggetto sarà regolata dal nuovo art. 322.
La giurisprudenza ha chiarito che le due ipotesi descritte sono alternative: l’una è la cd. “bancarotta fraudolenta documentale specifica” e l’altra è la cd. “bancarotta fraudolenta documentale generica”.
Ma quali sono le differenze tra le due?
Entrambe le ipotesi si configurano nel caso in cui vi sia prova dell’effettiva adozione di un sistema di scritture contabili.
Ben chiarisce la sentenza n. 2483/2021 come la sottrazione delle scritture sia sorretta dal dolo specifico: la mancata consegna alla Curatela del sistema di rilevazione dei fatti aziendali, difatti, deve essere sorretta dal fine di arrecare un pregiudizio ai creditori o di conseguire un ingiusto profitto. Diversamente, nella bancarotta fraudolenta documentale generica il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di tenere le scritture in maniera tale da rendere impossibile ricostruire il patrimonio o il movimento d’affari.
Ma tali eventi (scomparsa delle scritture o loro irregolare tenuta) sono elementi sufficienti ad integrare la fattispecie?
La posizione della Suprema Corte si rivela particolarmente garantista: si tratta solo di “eventi fenomenici dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato”.
Per la configurazione della fattispecie fraudolenta serve un quid pluris: la prova del dolo ovvero nell’un caso della volontà di recare un pregiudizio ai creditori o un ingiusto vantaggio all’imprenditore, nell’altro la consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di recare pregiudizio al ceto creditorio, rendendo impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali.
Per fare ciò serve valutare il concreto atteggiarsi dell’imprenditore nella vita economica della società.
E’ dato notorio, difatti, che in procinto del fallimento – quando l’ imprenditore tenta “il tutto per tutto” per salvare l’azienda spesso la sua attenzione è concentrata nelle azioni volte a superare la crisi e non tanto nella rilevazione di aspetti contabili, che passano in secondo piano.
In casi come questi, difatti, ove l’irregolare tenuta è circoscritta nel tempo, ben può al più configurarsi una condotta colposa, ben lontana dalla fattispecie di cui all’art. 216, soprattutto ove sono presenti libri cespiti o mastrini, in grado di consentire di rintracciare un “filo contabile”.
Una lettura garantista quella degli Ermellini, che non può che essere condivisa.