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Pubblicità delle mascherine, i risvolti giurisprudenziali

30/12/2020
Articolo pubblicato su Aboutpharma

Le mascherine, grandi (inaspettate) protagoniste dell’anno 2020. Abbiamo pensato allora di chiudere l’anno con l’analisi delle possibili conseguenze giuridiche di un profilo spesso trascurato: quello della comunicazione al pubblico. Quando si parla di pubblicità dei dispositivi medici, infatti, si affrontano (per lo più) gli aspetti legati  all’autorizzazione ministeriale di cui all’art. 21 del D.Lgs. 46/’97. In realtà la materia ha un respiro molto più ampio. Una scorretta “presentazione” o “pubblicità” di una prodotto (anche di un dispositivo medico) può infatti portare ad importanti decisioni da parte dell’Agcm per pratica commerciale sleale, nonché all’apertura di procedimenti penali per presunta frode in commercio. Così è avvenuto anche per le mascherine che,  oltre ai blocchi in dogana ed alle sanzioni per non corretta marcatura Ce, sono state oggetti nel corso del 2020 di altre importanti decisioni. Vediamo insieme due casi molto significativi.

Pratica commerciale scorretta: decisione Agcm sul caso Tiger

Un caso molto rilevante è senza dubbio il procedimenti dell’Agcm contro Tiger a seguito della pubblicità delle mascherine effettuata sul sito di e-commerce dell’azienda, con relativa applicazione  di una sanzione di ben 550 mila euro per pratica commerciale sleale (PS11736 – Tiger shop-vendita online prodotti emergenza sanitaria – provv. 28446 del 10 novembre 2020). Molto in sintesi. All’inizio dell’emergenza Covid, Tiger apriva sul proprio sito di e-commerce la vendita on line di mascherine.

In particolare i messaggi pubblicitari

  1. contenevano claim relativi all’asserita capacità di prevenzione delle mascherine rispetto al contagio da Covid-19;
  2. facevano riferimento ad una efficacia filtrante FFP2;
  3.  recavano prezzi di vendita significativamente più elevati rispetto al periodo precedente alla pandemia;
  4. invitavano all’acquisto per garantirsi la consegna in tempi rapidi (entro 24/48 ore).

A seguito di numerose segnalazione, l’Agcm apriva un procedimento per pratica commerciale sleale nel corso della quale veniva accertata la carenza di qualsivoglia marcatura Ce (né ex  dir 93/42/Ce come Dm, né ex Reg. 2016/425 come Dpi): l’unica certificazione era la “KN95 Mask” emanata da un ente non europeo.

In sede difensiva Tiger sosteneva che si trattava di mascherina immessa in commercio come prodotto in deroga alla disciplina vigente, ex articolo 16, comma 2 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 e non  come Dpi o Dm.

L’Agcm non ha accoglieva tale difesa dando atto che il richiamo nei claim pubblicitari della sigla FFP2 avrebbe richiesto una marcatura come Dpi ed altresì  induceva a ritenere sussistente una capacità filtrante in realtà non provata da alcuna marcatura Ce valida a livello comunitario né da alcun Nb.

L’Agc considerava poi scorretto anche l’alto prezzo della mascherina (oltre 9 euro) nonché  la promessa di consegna in 24/48 ore, elemento quest’ultimo che induceva il consumatore (la cui capacità di valutazione risultava già alterata dalla situazione di grave emergenza sanitaria in corso), ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

La sanzione (veramente importante) è stata di 550 mila euro, anche in ragione dell’elevato grado di offensività della pratica commerciale, trattandosi di un sito in grado di raggiungere un elevato numero di consumatori.

Frode in commercio: Cassazione 29578/2020

Un pubblicità non veritiera può portare poi anche all’apertura di in procedimento penale per frode in commercio.

Si ha frode in commercio infatti quanto quando un soggetto, “nell’ambito di una attività commerciali consegni volontariamente all’acquirente una cosa mobile diversa da quella dichiarata o pattuita per origine, provenienza, qualità o quantità (art. 515 cp).

In questo senso pubblicizzare un prodotto con caratteristiche diverse da quelle reali può comportare il rischio di un procedimento penale per tale reato. In relazione alle mascherine appare rilevante la  recente Cassazione penale sez. III – 22/09/2020, n. 29578 che, pur valutando la non colpevolezza degli imputati, ha però colto l’occasione per spiegare quando, al contrario, il reato possa ritenersi sussistente.

Il caso è proprio quello di un sequestro probatorio e preventivo convalidato dal Pm e dal Gip di Genova di ben 26 mila mascherine. Gli imputati si difendevano sostenendo che i prodotti sequestrati non erano qualificabili né come mascherine chirurgiche né come dispositivi di protezione individuale ma, semplicemente, come mascherine della collettività: sostenevano inoltre di non aver mai “presentato”  i prodotti come Dm o Dpi. La difesa veniva accolta dalla Suprema Corte, che sottolineando come il sequestro fosse avvenuto in un negozio di ferramenta (e non presso una farmacia e quindi un luogo che non faceva pensare a dm o dpi), affermava proprio la non sussistenza della frode in commercio proprio in ragione del fatto che i prodotti non erano stati presentati come Dm o Dpi.

Al contrario – precisa la Corte – ove le mascherine fossero state pubblicizzate come Dm o Dpi non avendo la marcatura Ce si sarebbe potuto configurare il reato. In sostanza la carenza di marcatura Ce non comporta (in sé e per sé)  la frode in commercio, che potrebbe invece configurarsi ove i prodotti venissero pubblicizzati con caratteristiche tipiche dei Dm o Dpi, essendo invece  privi di marcatura Ce.