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Il rapporto tra sapere scientifico e valutazione del Giudice: un caso di responsabilità professionale sanitaria
Cass. Penale Sez. IV, 20/02/2019, n. 7667
Come noto, quando la materia della responsabilità professionale sanitaria giunge nelle aule di Tribunale risulta pressochè imprescindibile l’intervento di consulenti tecnici esperti (medici legali e specialisti) che possano supportare il Giudice nella individuazione degli elementi scientifici cui ancorare le proprie decisioni.
Accanto ai consulenti nominati dal Giudice vi sono, poi, i consulenti che ciascuna delle parti in causa nomina per garantire che, anche nell’ambito della valutazione tecnico-scientifica, risulti rispettato il principio del contraddittorio, in ossequio al quale ciascuna delle parti deve essere messa in condizione di esprimere la propria, motivata, posizione sulla vicenda in discussione.
Come fare, dunque, a dipanarsi nella (possibile e assai frequente) difformità delle opinioni tecnico-scientifiche espresse dai diversi consulenti? Ha tentato di fornire una risposta, in tal senso, la IV Sezione della Corte di Cassazione Penale, con la recentissima sentenza n. 7667 del 30 Gennaio 2019.
Il caso era quello di un paziente, purtroppo deceduto a causa di uno shock settico secondario a una peritonite da perforazione di un diverticolo intestinale. Nel ricorso presentato dalle parti civili – sul quale la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi – queste lamentavano che il caso fosse stato, sin da subito, sottovalutato e che vi fossero stati, altresì, errori diagnostici e ritardi sia nelle indagini sia, poi, nell’approccio chirurgico. E, nel fare questo, le parti civili lamentavano che non fossero stati tenuti in alcun conto i riscontri tecnico-scientifici forniti dai consulenti del Pubblico Ministero, ai quali erano stati, invece, “preferiti” quelli emersi dalle indagini svolte dal collegio peritale nominato dal Giudice, composto da tre consulenti.
Mentre, infatti, i consulenti del Pubblico Ministero avevano ritenuto che fossero rinvenibili profili di negligenza nell’operato dei sanitari che avevano avuto in cura il paziente, il collegio peritale nominato dal Tribunale aveva ritenuto di escluderli e di attribuire il decesso del paziente non già a colpa dei sanitari bensì a pregresse condizioni patologiche del paziente medesimo, emerse soltanto in sede di esame autoptico.
Orbene, nel confermare la sentenza di assoluzione formulata dal Tribunale di prime cure e, poi, confermata anche in grado di appello, la Corte di Cassazione formula alcune interessanti considerazioni in ordine all’utilizzo del sapere scientifico nel processo.
Né la Corte di Cassazione né alcun altro Tribunale può essere considerato detentore universale della correttezza di un sapere scientifico in luogo di un altro e, quindi, non è possibile affermare che avrebbe dovuto preferire la versione offerta da un consulente piuttosto che quella offerta da un altro. Così, infatti, afferma il Giudice di legittimità:
“(…) Non si può valutare la maggiore o minore attendibilità degli apporti scientifici esaminati dal Giudice (…), in quanto quest’ultimo, in virtù del principio del suo libero convincimento e dell’insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettategli dai differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti (…)”.
In conclusione, aggiunge la Corte, non può essere devoluta al Giudice di legittimità la valutazione in ordine alla correttezza della tesi cui il Giudice di merito ha deciso di aderire, potendo, il Giudice di legittimità, soltanto valutare se la spiegazione che il Giudice di merito ha fornito in ordine alla scelta manifestata risulti logica e razionale.