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Responsabilità professionale sanitaria e onere della prova: un utile "ripasso" della Corte di Cassazione
Uno degli argomenti più ostici e dibattuti in tema di responsabilità professionale sanitaria – ma non solo – è quello della ripartizione dell’onere della prova fra paziente e struttura/professionista. Che cosa, cioè, deve provare chi chiede in giudizio il risarcimento di un danno e come, invece, può e deve difendersi chi di questo risarcimento viene richiesto?
Ci aiuta a fare il punto della situazione sul tema una recentissima sentenza della Sez. III Civile della Corte di Cassazione (n. 31966 dell’11 Dicembre 2018) in cui a essere discusso è il caso di una paziente sottoposta a intervento di sostituzione della valvola mitralica e della valvola aortica, al quale seguirono ulteriori interventi, alcune complicanze e un lungo periodo di riabilitazione.
In primo grado erano stati convenuti in giudizio una serie di soggetti fra cui, in particolare, la struttura ove era stato eseguito l’intervento e i professionisti che, materialmente, avevano eseguito l’intervento. Nonostante fosse emerso, in sede di consulenza tecnica, che le valvole impiantate erano difettose, il Giudice aveva ritenuto di respingere la richiesta risarcitoria della paziente.
Impugnata detta sentenza in secondo grado, la Corte d’Appello aveva, invece, ritenuto di condannare la struttura e il professionista a capo dell’equipe operatoria al risarcimento del danno – pur in misura nettamente inferiore rispetto a quanto richiesto – e ciò in ragione del fatto che nessuno dei convenuti aveva dimostrato di avere posto in essere gli accorgimenti e le verifiche necessarie ad assicurarsi di impiantare una protesi valida, efficace ed efficiente.
Detta sentenza veniva, ulteriormente, impugnata dalla paziente e dai suoi familiari avanti alla Corte di Cassazione con alcuni motivi di ricorso, due dei quali risultano di particolare rilievo.
Sotto un primo profilo i ricorrenti eccepivano contestavano che il Giudice di secondo grado avesse riconosciuto il professionista responsabile per i soli danni derivanti dal primo intervento chirurgico ma non anche quelli derivanti dai ricoveri e dagli interventi successivi, argomentando, in tal senso, che il medico aveva eseguito soltanto il primo intervento e, dunque, non poteva essere ritenuto responsabile anche per quelli successivi cui non aveva partecipato. Ed ecco che, in questo senso, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata l’eccezione mossa dai ricorrenti e ha colto l’occasione per riproporre i principi che presiedono alla suddivisione dell’onere probatorio fra le parti:
“(…) sul paziente che agisce per il risarcimento del danno grava l’onere di provare la relazione causale che intercorre tra l’evento di danno e l’azione/omissione, mentre spetta alla controparte (medico o struttura sanitaria) dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile e inevitabile (…)”.
Nel caso di specie, tuttavia, la causa degli interventi successivi al primo era rimasta oscura, in quanto né la struttura né il professionista erano stati in grado di dimostrare il verificarsi di una causa imprevedibile e inevitabile né di ricostruire in maniera alternativa l’iter causale e, pertanto, la c.d. “causa ignota” deve rimanere ascritta ai convenuti stessi.
Sotto un secondo profilo, poi, i ricorrenti avevano eccepito la mancata condanna di uno dei componenti dell’equipe operatoria, esclusa dalla Corte d’Appello competente in ragione del fatto che questi non avrebbe potuto sapere che le valvole impiantate non erano idonee e aveva, dunque, confidato nella efficacia ed efficienza delle stesse.
Anche in questo senso la Corte di Cassazione ha deciso di accogliere l’eccezione formulata dai ricorrenti, affermando che non spettava certo a questi dimostrare l’inadempimento del professionista bensì a quest’ultimo che l’inefficienza delle valvole era dipesa da causa a lui non imputabile. Quale componente dell’equipe, infatti, avrebbe potuto e dovuto controllare l’operato proprio e altrui e, dunque, accertarsi in ordine alla idoneità delle valvole impiantate o, in alternativa, dimostrare che ciò era dipeso da causa a lui non imputabile, cosa che, invece, non aveva fatto.
Attenzione, dunque, quando si va in causa o si resiste in un giudizio in cui si è convenuti, a soddisfare in maniera puntuale e precisa il proprio onere probatorio, onde evitare di incorrere in pronunce sgradite.