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PRIVACY: la divulgazione di foto di pazienti costa cara

22/10/2014
Alessandra Delli Ponti

Cassazione civile, sez. III, 11/09/2014 n. 19172  

La Corte di Cassazione in questa interessante sentenza mette molti punti fermi nella gestione delle foto dei pazienti dei relativi consensi.

La pronuncia nasce dal fatto di una paziente che si è sottoposta ad intervento di mastoplastica additiva e un secondo successivo intervento di addominoplastica. Entrambi gli interventi furono fatti dallo stesso medico, ma solo nei confronti del secondo la paziente agì per la richiesta di risarcimento danni da responsabilità medica.

Nel corso della causa il medico, attraverso il proprio difensore ha prodotto in giudizio delle fotografie a seno nudo della paziente riguardanti il primo intervento, non il secondo, per il cui utilizzo la paziente aveva autorizzato la pubblicazione solo a fini scientifici.  Il giudice della causa di risarcimento danni ha ritenuto, tuttavia, irrilevanti queste foto ordinandone lo stralcio.  Per quella produzione processuale la paziente ha quindi avviato una causa di risarcimento danni da pubblicazione non autorizzata di un “dato” ovvero la propria immagine nei confronti sia del medico che del suo avvocato, entrambi condannati al risarcimento del danno alla paziente.

Sia l’avvocato che il medico ricorrono in Cassazione ritenendo la sentenza non corretta.

Medico e avvocato hanno presentato ben otto motivi di impugnazione tutti respinti dalla Corte. Di questi se ne segnalano alcuni interessanti perché possono dare utili indicazioni su come modificare informativa e consenso al trattamento dati di medici e strutture sanitarie.

Un motivo esaminato dalla Corte riguarda la distinzione tra pubblicazione del dato e utilizzo di un dato all’interno di un processo a scopo difensivo.

L’articolo 7, l’articolo 24 comma 1 lett f)  e l’articolo 26 del D.Lgs. 196/2003 stabiliscono sostanzialmente che è possibile utilizzare un dato sensibile necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

Ne consegue – secondo la Corte -  che la liceità dell’utilizzo di un dato per fini difensivi e, quindi, come prova in un procedimento, presuppone un accertamento di merito legato alla necessità del trattamento rispetto all’oggetto del giudizio e alla circostanza che esso avvenga esclusivamente per tali finalità e per il periodo necessario.        

Nel caso concreto è stato svolto dal Tribunale, il quale spiega, in proposito, che la divulgazione in sede processuale dell'immagine della (OMISSIS) (relativa al precedente intervento di mastoplastica) e' avvenuta "in un contesto ove... era del tutto inutile e non finalizzata alla strategia difensiva del medico, citato in giudizio per un'asserita responsabilità professionale per il diverso intervento di addominoplastica..". Non a caso il Giudice aveva poi disposto lo stralcio dell’immagine.

In sostanza non è vietato utilizzare un dato – compresa la fotografia - come prova in un giudizio, ma tale dato deve essere pertinenterispetto al giudizio ed effettivamente necessario al fine di tutelare un diritto. In altri termini quelle foto potevano essere utilizzate se la causa di risarcimento danni avesse riguardato il primo intervento quello a cui le stesse si riferivano.

Un secondo motivo esaminato dalla Corte è molto interessante e riguarda la differenza tra comunicazione e diffusione. Secondo l’avvocato, non si sarebbe trattato di diffusione di dati (di cui all'articolo 4 lettera M), bensì di comunicazione  (di cui all'articolo 4, lettera L), che la visione delle fotografie era limitata a soggetti tenuti al segreto d'ufficio, che il consenso era stato prestato a fini scientifici e di documentazione.     

La Corte rigettando il motivo avanzato dall’avvocato, rileva che se da una parte è vero che quella in questione deve essere definita, ai fini normativi, come una comunicazione, e non come una diffusione, siccome rivolta a "dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato" (cfr. articolo 4 lettera L), dall’altra è altrettanto vero che essa resta un trattamento di dati, rientrante nell'articolo 4, lettera A) del D.lgs. 196/2003 che definisce come trattamento qualunque operazione concernente, tra l'altro, "... la comunicazione, la diffusione..." dei dati.       

Trattamento che – continua la Corte -  ai sensi dell'articolo 23, “è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato, validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se e' documentato per iscritto e se sono state rese all'interessato le informazioni di cui all'articolo 13”.      

Nella specie, è indiscusso che il consenso fosse stato fornito dall'interessata per fini scientifici e, dunque, del tutto estranei al trattamento poi effettivamente realizzato.  

Questi due aspetti portano ad alcune riflessioni.

La prima riguarda una poca attenzione oggi all’utilizzo di dati, intendendo sia immagini che informazioni relative a persone. Nel caso di specie, forse, sarebbe bastata una più attenta scelta dei dati da trattare nel giudizio in questione per evitare risarcimenti e richieste di danno.

Una seconda riflessione di carattere pratico – operativo riguarda i contenuti delle informativa e la scelta di formulazione del consenso. Spesso questi due adempimenti vengono presi alla leggera e senza riflettere su cosa io, titolare, intendo o intenderò fare di quei dati che raccolgo, magari limitandosi a “copiare” le scelte del nostro concorrente o di qualche conoscente o amico. La pronuncia, quindi, potrebbe costituire una preziosa esortazione a tutti i titolari del trattamento: attenzione ai contenuti dell’informativa e ai consensi da far sottoscrivere al paziente.