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Percorsi diagnostici-terapeutici assistenziali (PDTA) e profili di responsabilità

16/07/2020
Silvia Pari

Rappresenta un dato ormai incontrovertibile quello secondo il quale i modelli di organizzazione sanitaria di cui alla L. n. 833/1978 – che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universalistico – abbiano richiesto, ormai da tempo, una profonda revisione, al fine di adeguarli all’evoluzione del mondo della sanità che, da un lato, è chiamato a confrontarsi con le nuove dimensioni del Sistema Welfare e, dall’altro, con la c.d. “Quarta Rivoluzione Industriale” e, dunque, con la sempre più inarrestabile avanzata dell’Hi-Tech, dell’intelligenza artificiale, delle nanotecnologie.

Oggi più che mai, l’attuale situazione di emergenza epidemiologica ha insegnato quanto forte sia la necessità di procedere lungo la via della riorganizzazione dei sistemi e dei processi, a partire da una rinnovata concezione del rapporto tra medico e paziente, che non può più fondarsi, in via esclusiva, su contatti individuali e separati tra il paziente stesso e i singoli professionisti, necessitando, invece, di una forte integrazione dei percorsi.

In questa ottica sono, dunque, destinati a trovare sempre più spazio i nuovi modelli di governance del sistema, che si incentrano sulla continuità tra ospedale e territorio e sui c.d. Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA).

Per PDTA si intendono quei piani multi- e inter-disciplinari di cura e assistenza, disegnati sulla base delle linee guida e delle migliori pratiche cliniche, per gruppi specifici di pazienti (che siano, cioè, caratterizzati dalla medesima situazione clinico-patologica) che, con l’obiettivo di migliorare la qualità delle cure nonché la loro appropriatezza, sicurezza e sostenibilità, siano capaci di connettere ospedale e territorio, strutture dipartimentali e distretti, il tutto facendo ampio ricorso anche a strumenti di telemedicina.

In altre parole, il PDTA è l’insieme delle attività erogate per rispondere alla domanda del malato, dalla fase diagnostica a quella di cura e risoluzione del problema, oltre a essere lo strumento per una revisione critica degli iter assistenziali di target di pazienti particolari.

Numerosi ed evidenti, dunque, i vantaggi insiti in un modello di erogazione delle prestazioni sanitarie integrato e multidisciplinare come quello appena descritto:

  • Omogeneità e coerenza delle proposte;

  • Possibilità di analizzare i risultati a lungo termine;

  • Aumento della fiducia del paziente;

  • Utilizzo razionale delle strutture e del personale, a seconda delle necessità di ogni singolo caso;

  • Individuazione chiara e formalizzata delle relazioni e delle responsabilità nelle diverse fasi del percorso.

Ed è proprio sotto quest’ultimo profilo, ossia quello della responsabilità, che vale la pena formulare qualche considerazione conclusiva.

La standardizzazione dei percorsi e l’aderenza degli stessi a linee guida e buone pratiche cliniche rappresentano senz’altro un punto a favore per questo strumento, anche e soprattutto nella logica di cui alla L. n. 24/2017 che, in tema di valutazione della responsabilità professionale sanitaria, pone un forte accento sulla rispondenza dell’agire medico a criteri condivisi e validati, purché adeguati al caso specifico. Analoga riflessione vale con riguardo alla formalizzazione e individuazione chiara di ruoli e responsabilità nelle diverse fasi del percorso che, in caso di contestazione o di richiesta risarcitoria formulata dal paziente, può agevolare la corretta ricostruzione e allocazione degli accadimenti.

D’altro canto risulta, parimenti, evidente come i due aspetti centrali, nell’ottica della responsabilità, siano quelli legati alla corretta predisposizione dei piani assistenziali e alla appropriata individuazione dei pazienti da destinarvi (nella logica secondo la quale non tutti coloro che versano nella medesima condizione patologica possono essere trattati con le medesime modalità).