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IMPRESE CINESI: perche non possono partecipare agli appalti italiani

22/09/2014

TAR Campania, V°, 3/9/2014, n. 4965

Pronuncia molto interessante del TAR Napoli, che affronta la spinosa questione della partecipazione di un'impresa straniera ad una procedura di gara indetta in Italia; in particolare, nel caso di specie, si tratta di un'impresa cinese anzi, piu' correttamente, di una società italiana che aveva completamente delocalizzato la propria produzione in Cina, conservando però la sede legale in Italia.

L'Azienda speciale ABC di Napoli indiceva infatti una procedura di gara per l'affidamento di “materiale acquedottistico”, gara che veniva inizialmente aggiudicata a detta società salvo poi la P.A. appaltante escluderla, risultando come detta società avesse dichiarato di far produrre la totalità dei prodotti offerti nella Repubblica Popolare Cinese.

A giustificazione di detta esclusione veniva invocava la violazione delle specifiche tecniche poste a base di gara, che recepivano l'art. 234, comma 2 D.Lgs. n. 163/06 (trattasi di “Settori speciali”) circa il divieto di partecipare alle gare qualora oltre il 50% del valore dei prodotti offerti risultino originario di paesi terzi.

Si difendeva l'aggiudicataria-esclusa argomentando come la Repubblica Popolare Cinese non possa annoverarsi fra i cd. “Paesi terzi” e come, in ogni caso, la società vincitrice avesse sede in Italia, essendosi limitata a spostare la produzione in Cina ma conservando, nel nostro Paese, tanto la progettazione che la “responsabilità tecnica” della produzione.

Il TAR partenopeo parte proprio da quanto disposto dall'art. 234 del Codice appalti, che definisce “paesi terzi” quelli estranei all'Unione Europea e con cui i paesi UE non hanno concluso convenzioni e accordi (multilaterali o bilaterali) che assicurino un accesso effettivo e reciproco alle gare indette dai rispettivi paesi, per stabilire come l'adesione al W.T.O. (World Trade Organisation), tanto della UE che della Cina, non è comunque sufficiente a decretare l'apertura del mercato degli appalti pubblici fra i Paesi dell'Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese.

A dimostrazione di ciò proprio il fatto che la Cina non ha mai espressamente aderito al “G.T.A.” (General Procurement Agreement), incluso nell'alleg. IV° all'Accordo istitutivo del W.T.O. e volto proprio ad obbligare gli Stati alla reciproca apertura al mercato degli appalti pubblici.

Posto pertanto come solo l'adesione al G.T.A. garantisca l'effettiva facoltà di partecipazione dei paesi U.E. alle gare indette nella Repubblica Popolare Cinese e viceversa, a legislazione vigente un'impresa cinese non può partecipare ad una procedura di gara indetta in Italia.

Quanto poi alla produzione, secondo il Regolamento CEE n. 2913/92  “sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese”, con ciò istituendo un “sistema di preferenza” basato non sulla nazionalità degli offerenti ma sull'origine dei prodotti; in altri termini la natura italiana dell'impresa concorrente non era sufficiente a rendere “italiano” il prodotto realizzato altrove - sebbene la produzione risultasse effettuata “in proprio” - dovendosi scindere il profilo soggettivo del Produttore da quello oggettivo dell'origine del prodotto.

Ciò posto quindi, nonché considerato come, nel caso di specie, i prodotti offerti dalla ricorrente risultassero prodotti interamente nella Repubblica Popolare Cinese - che, seppur aderente al W.T.O., non risulta comunque avere ancora siglato il G.T.A. - i giudici napoletani hanno conseguentemente deciso di respingere il ricorso promosso dalla società ricorrente, confermandone la legittima esclusione.