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ETICHETTATURA DEI PRODOTTI MARCATI CE: come gestire i contenuti quando gli spazi utili sono pochi e gli obblighi di legge tanti? Alcuni spunti
Tanti obblighi informativi da dare e una superficie utile molto piccola?
Sono vari i casi in cui l’etichettatura dei prodotti non è questione semplice da gestire.
E non si tratta tanto di una questione di contenuti: infatti, le informazioni obbligatorie per legge sono spesso molto numerose
Il più è come utilizzare gli spazi disponibili, alla luce del fatto che tutte le legislazioni relative ai prodotti marcati CE richiedono, in genere, che l’informazione destinata agli utilizzatori sia chiara ed evidente.
Per esperienza professionale, sono i prodotti destinati ad incidere in qualche modo sulla salute delle persone a creare le criticità maggiori (es. farmaci, dispositivi medici, alimenti, cosmetici, etc..).
Qui, stanti gli interessi economici alla vendita, la necessità di salvaguardare la salute e la sicurezza degli utilizzatori finali deve fare spesso i conti con l’opportunità che i prodotti abbiano anche caratteristiche estetiche accattivanti.
Tra i problemi pratici legati alla gestione dell’etichettatura, ecco alcuni casi frequenti:
- il prodotto è piccolo ed esiste solo il c.d. packaging primario (al di là del prodotto vero e proprio, cioè, non esiste una confezione ulteriore da sfruttare in funzione di una etichettatura corretta);
- anche se la confezione e/o la superficie esterna del prodotto è grande, i paesi di vendita sono tanti, ergo la confezione potrebbe non riuscire ad ospitare le indicazioni tradotte in tutte le lingue necessarie.
Facile, poi, che questi due problemi siano tra loro combinati.
Le aziende hanno cercato di far fronte al problema tramite gli escamotages più svariati: così sono nate le etichette “peel off” (per intenderci, etichette multistrato da “sbucciare”), oppure, ove consentito dalla legge, si è fatto ricorso a simboli sostitutivi dell’informazione scritta.
Tuttavia, dalla risoluzione di una problematica ne è presto discesa un’altra: questi strumenti alternativi sono in grado di garantire all’utilizzatore un’informazione davvero evidente e di facile accesso?
Qualche suggerimento su come raggiungere l’obiettivo lo si può trovare nella giurisprudenza comunitaria.
In particolare, sui contenuti informativi da includere, si segnalano le sentenze della Corte di Giustizia 24.10.02 (C - 99/01), 03.07.02 (T - 179/00), 13.01.00 (C-220/98), utili in tutti quei casi in cui ci si ritrova a dover gestire contenuti richiesti solo dalle leggi di alcuni paesi di vendita.
Il principio espresso dalle sentenze è il seguente: per stabilire se un contenuto sia in grado di sviare gli utilizzatori sulle caratteristiche di un prodotto, occorrerà valutare il contesto culturale e sociale in cui il consumatore si è formato.
In breve, onde determinare l’opportunità o meno dell’inserimento di un’informazione, la domanda da porsi sarebbe: il consumatore ha una formazione tale per cui il mancato inserimento di una data informazione lo porterebbe ad essere sicuramente sviato?
Sul tema, invece, dell’inserimento delle indicazioni tradotte nelle lingue dei paesi di vendita, si segnalano le sentenze della Corte di Giustizia 13.09.01 (causa C-169/99), 23.11.06 (C_315/05), 23.10.03 (C-40/02).
L’orientamento giurisprudenziale che ne scaturisce può essere così riassunto: se l’inserimento delle informazioni nelle lingue richieste implica una modifica all’aspetto del prodotto, il produttore non può esservi costretto, se esistono delle soluzioni alternative. L’importante, però è che le informazioni vengano in qualche modo inserite negli spazi in cui la legge esige che stiano, a beneficio degli utilizzatori finali.
Chiaramente, tutti questi principi dovranno essere modulati ed applicati in maniera diversa a seconda del tipo di prodotto e della relativa, specifica legislazione applicabile.