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Azione di regresso della struttura sanitaria nei confronti del medico: che cosa occorre provare?
Cass. Civile, Sez. VI, 27/09/2019, n. 24167/2019
Come noto, è sempre più la struttura sanitaria, specie a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 24/2017, a doversi fare carico degli oneri risarcitori nei confronti dei pazienti che asseriscano di avere subito un danno. Ciò non toglie che esistano specifici strumenti giuridici – quali la c.d. “azione di regresso” e/o il meccanismo c.d. di “manleva” – attraverso i quali la struttura che si sia trovata a corrispondere un risarcimento al paziente, in ragione dell’inadempimento di un proprio collaboratore, possa procedere a recuperare proprio da quest’ultimo quanto corrisposto.
Ma quali sono le condizioni perché ciò possa essere fatto?
Se ne è occupata, in una recentissima ordinanza (la n. 24167/2019) la Sez. VI della Corte di Cassazione Civile.
Il caso è quello di una paziente operata, con esito infausto, per l’inserimento di una protesi all’anca presso una casa di cura privata, la quale aveva agito in giudizio nei confronti della struttura sanitaria per ottenere il risarcimento del danno subito. La struttura convenuta aveva, a propria volta, deciso di allargare il contraddittorio chiamando in causa il professionista che aveva materialmente eseguito l’intervento e chiedendo di essere tenuta manlevata da quest’ultimo
Il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda risarcitoria proposta dalla paziente e condannato in solido struttura e professionista a rifondere il danno mentre nulla aveva detto circa la domanda di manleva formulata dalla struttura la quale, pertanto, aveva deciso di proporre appello avverso la pronuncia del Tribunale, chiedendo che il professionista fosse condannato a pagare direttamente alla paziente quanto a questa dovuto in ragione della sentenza di primo grado.
Il Giudice di secondo grado accoglieva l’appello presentato dalla struttura, affermando il principio secondo il quale, laddove fosse stato accertato – come in effetti era stato fatto in primo grado – che la causa dell’inadempimento fosse da imputarsi esclusivamente al medico, nulla ostava circa la possibilità che quest’ultimo fosse condannato a pagare direttamente quanto dovuto alla paziente, non avendo, viceversa, il professionista fornito prova degli eventuali profili di responsabilità ascrivibili alla struttura sanitaria.
La Corte di Cassazione, avanti alla quale è stato proposto ricorso, si è mostrata, invece, di diverso avviso rispetto alla Corte d’Appello, cassando la sentenza impugnata e affermando il principio che segue:
“(…) Laddove la struttura sanitaria, evocata in giudizio dal paziente che (…) si è sottoposto a un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, (…) chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata e in regresso nei confronti del chirurgo (…), è sul soggetto che agisce in regresso che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto. Non rientra, invece, nell’onere probatorio de chiamato individuare precise cause di responsabilità della clinica (…)”.
Attenzione, pertanto, quando la struttura sanitaria decide di agire in regresso/manleva nei confronti del professionista sanitario proprio collaboratore perché sarà questa a dover dimostrare che il professionista è responsabile in via esclusiva, non spettando, invece, a quest’ultimo l’onere di dimostrare che vi sono profili di responsabilità anche a carico della struttura.