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I (molti) nodi irrisolti della Legge Gelli-Bianco e la soluzione delle Sezioni Unite

27/02/2018

Cass. Sez. Unite, 22/02/2018, n. 8770/18

Le Sezioni Unite, con sentenza 8770/18 depositata il 22.02.2018, affrontano il contrasto giurisprudenziale insorto in seno alla IV sezione della Cassazione in ordine al perimetro di non punibilità introdotto sul versante penale dalla Legge Gelli – Bianco.

Le intenzioni del legislatore del resto erano le migliori: garantire maggiore certezza al precetto penale (definendo linee guida certe) ed offrire uno “spiraglio” di non punibilità al sanitario che -entro quel perimetro -si era mosso, così da combattere la c.d. medicina difensiva.

Se sia stata una buona riforma o no, lo vedremo, di certo non è stata una riforma chiara.

Agli albori dell’approvazione, difatti, al plauso della classe medica è seguito un coacervo di interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali – contrastanti – che ha gettato medici e giuristi nel più profondo sconforto.

Più favorevole la Legge Balduzzi o la novella legislativa?

Come noto, il nuovo art. 590-sexies c.p. prevede che “qualora l’evento (n.d.s.morte o lesioni personali colpose in ambito sanitario) si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità sia esclusa quando sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle line guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone partiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Nel 2017 si sono susseguite due importanti sentenze: la Tabadori (Cass.pen., sez. IV 20 aprile 2017 n. 28187) e la Cavazza (Cass. Pen., sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 50078).

Le Sezioni Unite – pur apprezzando lo sforzo interpretativo effettuato – non condividono nessuna delle due pronunce.

La prima, difatti, è sentenza talmente critica da svuotare di significato la norma. La sua è un interpretazione abrogatrice: non serviva il nuovo articolo 590-sexies c.p., bastava utilizzare i criteri generali in tema di colpa.

La seconda, sul versante opposto, ritiene che – in ipotesi di imperizia – il sanitario sia sempre “salvo” se il suo errore si limiti alla fase esecutiva, ciò anche in ipotesi di colpa grave. Una portata talmente ampia, da scusare il sanitario tanto, forse troppo. Così almeno la pensano le Sezioni Unite, che risolvendo il contrasto interno hanno enucleato i seguenti principi di diritto:

Il medico risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:

  1. «se l'evento si è verificato per colpa (anche 'lieve') da negligenza o imprudenza;

  2. se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

  3. se l'evento si è verificato per colpa (anche ‘lieve') da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;

  4. se l'evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico».

Tradotto: il perimetro di non punibilità è ben delineato alla sola fase esecutiva. Se il sanitario ha ben scelto la linea guida (che quindi è appropriata al caso concreto), non risponderà penalmente in ipotesi di imperizia, qualora la sua colpa sia stata lieve.

Quale, quindi, la norma più favorevole per il sanitario?

Si deve distinguere: di certo lo è la Legge Balduzzi in caso di negligenza ed imprudenza, qualora la colpa imputabile sia lieve (oggi il medico che pecchi “ di leggerezza” risponderà sempre). In caso di imperizia, invece, la Legge Gelli-Bianco sembra dare maggior respiro al sanitario.

Ma solo se l’errore interviene nella fase operativa e solo se la linea guida esiste, in questo caso una colpa lieve” consentirà all’imputato di salvarsi dalle maglie del penale.

Se, invece, si tratta di materia non regolata da raccomandazioni o se queste siano state “mal scelte”…ecco, in questo caso il sanitario – solo un pochino colpevole – risponderà. Come prima e più di prima.

Ci chiediamo se abbiate ora le idee più chiare.

Noi, in effetti, no.

Ci domandiamo se la professione sanitaria sia davvero una professione come un’altra, se il fine esclusivamente altruistico verso cui tende giustifichi dei margini di esenzione più ampi. E badate, lo diciamo, non pensando ai medici, ma pensando a noi – che saremo prima o poi pazienti. Davvero pensiamo che un sanitario/burocrate – un ragioniere delle linee guida di Stato – sia un medico migliore di quel medico - che fedele al giuramento che ha prestato – pensa a salvare la nostra vita (e non la sua)?

A voi la risposta.