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Emilia Romagna: prima disciplina regionale sulla telemedicina pubblica. E il privato?
Prima regione in Italia, l'Emilia-Romagna recepisce le “Indicazioni Nazionali per l’erogazione di prestazioni di telemedicina” dello scorso anno (Conferenza Stato-Regioni n. 215/2020 - commentata qui).
Con la DGR n. 1227/2021, infatti, l’Emilia-Romagna offre le indicazioni in merito all’erogazione dei servizi di telemedicina nelle strutture del Servizio Sanitario regionale.
Più esattamente, vengono stabilite le modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie a distanza, precisandone i requisiti per l’esercizio, il percorso autorizzativo e di accreditamento, i pazienti eleggibili e le condizioni di erogazione
In tale sede, ci si vuole soffermare sulle disposizioni relative al regime autorizzativo delle prestazioni di telemedicina, implementate in conformità alla L.R. Emilia-Romagna n. 22/2019 dedicata alle autorizzazioni e accreditamento sanitario.
Difatti, ai sensi dell’art. 5, comma1, della L.R. Emilia-Romagna:
“Oggetto dell’autorizzazioni sono le strutture fisiche, anche mobili, ove vengono erogate prestazioni sanitarie [….] nonché le sedi di erogazione di prestazioni in telemedicina”.
Al proposito, la recente Delibera regionale precisa che:
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una struttura dell’azienda sanitaria territoriale di nuova costituzione, ovvero nelle ipotesi di variazione delle funzioni o delle discipline erogate che richiedano una nuova autorizzazione, troveranno applicazione le procedure per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio. In tale sede, la struttura dovrà appositamente comunicare al Comune l’intenzione di voler svolgere attività sanitaria a distanza in conformità con i requisiti previsti per la telemedicina. L’ente comunale procederà successivamente agli adempimenti amministrativi e al rilascio della autorizzazione sanitaria;
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le strutture sanitarie, invece, oggi in attività, sempre nel rispetto dei requisiti previsti per l’erogazione delle prestazioni a distanza, possono avviare i servizi di telemedicina nelle branche per cui hanno già ottenuto l’autorizzazione sanitaria.
In quest’ultimo caso, non sembra esserci alcun particolare adempimento amministrativo in capo all’erogatore.
La Regione infatti assimila tale implementazione a una di quelle variazioni che, ai sensi dell’art. 8, comma 10, lett. C), L.R Emilia-Romagna n. 22/2019, non comporta il rilascio di una nuova autorizzazione sanitaria all’interno dell’iter procedimentale. La struttura dovrà quindi presentare solo una mera comunicazione al Comune competente, indicando l’inizio della attività in telemedicina. Ciò affinché l’ente possa aggiornare il provvedimento autorizzativo.
In ogni caso, sia per le strutture già autorizzate che effettuino servizi di telemedicina, sia per le “nuove” strutture, la Delibera è chiara nel precisare come le stesse debbano essere in possesso dei requisiti autorizzativi generali per le attività svolte in regime ordinario, oltre che degli ulteriori requisiti richiesti per le prestazioni in telemedicina. L’eventuale carenza di requisiti può portare infatti alla decadenza dell’intera autorizzazione e alla sospensione delle relative attività.
Se quanto descritto sino a qui riguarda espressamente le strutture che erogano le prestazioni a carico del Servizio Sanitario Regionale, sorge spontaneo domandarsi come devono comportarsi, rispetto alle prescrizioni indicate dalla Delibera, gli erogatori che operano esclusivamente in regime privatistico.
La DGR n. 1227/202, infatti, si rivolge alle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, nulla predisponendo per i soggetti privati.
Il silenzio normativo della Regione sembra permettere al privato di poter esercitare le attività di Telemedicina senza alcun obbligo di adeguarsi alle indicazioni regionali dedicati alla materia, il cui scopo principale è volto a garantire la sicurezza e l’appropriatezza delle cure anche a distanza.
Non solo. L’assenza di una organica disciplina attuativa rivolta anche agli erogatori privati rende – di fatto- per questi ultimi inapplicabile l’art. 5, L.R. Emilia-Romagna n. 22/2019, che impone l’autorizzazione all’esercizio per le prestazioni di telemedicina tanto per il pubblico, quanto per il privato.
Pertanto, l’operatore intenzionato a erogare alcune prestazioni a distanza, qualora necessario per il paziente, deve continuare a eseguire le attività di telemedicina nel rispetto “solo” delle diverse disposizioni nazionali incidenti sull’erogazione stessa (dalla normativa privacy alle specifiche disposizioni in materia sanitaria, quale il consenso informato, ecc.).
Al proposito, pare opportuno ribadire che lo stesso Codice di deontologia medica permette ai professionisti, a determinate condizioni, di erogare alcune prestazioni del percorso di cura tramite gli strumenti della telemedicina. (art. 78 Codice di Deontologia medica)
In conclusione, le regione Emilia-Romagna ha sicuramente il merito di essere stata la prima regione a recepire le direttive impartite dalla Conferenza Stato-Regione in materia di telemedicina, ma ha forse perso l’occasione di essere davvero la prima a regolamentare organicamente anche l’operatore privato.