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PASSAGGIO DI APPALTO E CLAUSOLA SOCIALE: secondo la Cassazione NON si configura alcun trasferimento di azienda

16/12/2016

Cass.Sez.Lav., 6/12/2016 n.24972

Il diritto a far valere le garanzie previste dall'art. 2112 c.c. a seguito di un licenziamento comminato all'avvicendamento tra due appaltatori è tutt'altro che scontato, in quanto non si configura automaticamente alcun trasferimento di azienda.

E' quanto affermato da una recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che peraltro offre interessanti spunti anche in relazione all'introduzione ex lege della cd. “clausola sociale” ex  art. 50 D.Lgs.n. 50 2016.  

Questi i fatti.

Alcuni lavoratori di una società, in precedenza appaltatrice del Comune di Viterbo, impugnavano i licenziamenti comminati agli stessi in coincidenza del subentro nell'attività espletata dalla loro ex Datrice di lavoro di una nuova società in house, costituita ad hoc dal suddetto Ente Locale.

Deducevano in particolare i ricorrenti che il loro licenziamento sarebbe stato nullo perché intimato in spregio al comma 4° dell'art. 2112 c.c. (che vieta i provvedimenti espulsivi durante i trasferimenti d'azienda) e, per l'effetto, chiedevano che venisse accertato il diritto a passare con la nuova compagine societaria.

Ritenevano, in altre parole, che vi fosse un obbligo ope legis del nuovo affidatario al mantenimento del loro posto di lavoro, reputando trattarsi – tale avvicendamento tra appaltatori -di fatto in un trasferimento d'azienda, stante l'intervenuto passaggio di beni tra il vecchio e il nuovo appaltatore.

Già nei primi due gradi di giudizio le pretese dei ricorrenti erano state tuttavia respinte ed anche la Suprema Corte ha ritenuto di rigettare le richieste avanzate dai lavoratori.

La Corte di Cassazione ha infatti precisato come il trasferimento d'azienda, nell'avvicendamento tra appaltatori, si abbia solo nell'ipotesi in cui, oltre al personale, vi sia anche passaggio “di beni materiali di non modesta entità” e come non risulti configurabile un trasferimento aziendale nel caso di mero passaggio di manodopera, senza che a ciò consegua anche il passaggio di un particolare know-how, tale da assicurare un'autonoma capacità operativa di detto personale “passante”.

In altri termini non costituisce trasferimento d'azienda la mera assunzione di lavoratori in caso di cambio di soggetto appaltatore in esecuzione di una cd. “clausola socialeprevista dalla contrattazione collettiva o dalla legge, ostandovi l'esplicito contrario disposto del D.Lgs.n. 276/2003, art. 29 comma 3°”.

I Supremi Giudici hanno così chiarito come il trasferimento aziendale non operi mai automaticamente al mero passaggio di manodopera ma richieda, a carico della parte che lo vuol far valere in giudizio, la prova rigorosa che vi sia stato un effettivo passaggio non solo del personale, ma anche dei beni d'apprezzabile valore economico tra il vecchio e il nuovo appaltatore.

Particolarmente interessante risulta poi la precisazione che detto “trasferimento” non opera ope legis neppure in presenza di una clausola sociale “prevista [.] dalla legge”, in quanto il nuovo Codice appalti dispone proprio di una norma che consente alla P.A. appaltante di prevedere, in lex specialis, clausole “volte a promuovere la stabilita occupazionale del personale impiegato” (art. 50).

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, l'art.29 D.Lgs.n. 276/2003 - che esclude il concretizzarsi di un trasferimento di azienda (e pertanto l'operatività dell'art.2112 c.c.) tutte le volte in cui non segue, al passaggio del personale, anche quello dell'azienda - sembra “prevalere” su qualsiasi altra normativa in materia e, quindi, non fornire alcuna effettiva garanzia di stabilità occupazionale.

Vedremo dunque come opererà in futuro il combinato disposto fra gli artt. 2112 cod.civ. e l'art. 50 D.Lgs.n. 50/2016, quel che è certo e che, con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha voluto dare un forte “ALTOLA'” ad ogni interpretazione eccessivamente tutelante il mantenimento del posto di lavoro.