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CLAUSOLA DI ADESIONE: condizioni e limiti applicativi alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali ed in attesa di una specifica normativa in materia

28/02/2017
Fabio Caruso

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO

Le gare con clausola d’adesione costituiscono una forma di contrattazione ad “aggregazione successiva”, attraverso cui viene realizzato un accordo-quadro tra più soggetti (Amministrazioni-capofila, altre PP.AA. interessate nonché operatori economici aggiudicatari), avente ad oggetto un’opzione d’incremento delle prestazioni dell’appaltatore già stabilite nel contratto originario, in un determinato e specifico intervallo temporale ed a prezzi unitari invariati.

Il maggiore ricorso a tale strumento di contrattazione – dovuto inizialmente ad esigenze di contenimento della spesa pubblica – trova oggi sempre più fortuna in ragione della (caotica) situazione in cui attualmente si trova il mercato degli approvvigionamenti pubblici, da quasi 1 anno in attesa dell’Elenco ANAC delle Stazioni Appaltanti “qualificate” (ex art. 38 D.Lgs.n. 50/2016), dalla cui pubblicazione le Pubbliche Amministrazioni “semplici” non potranno più compiere acquisti se non sotto i 40.000 € per beni e servizi e sotto i 150.000 € per lavori pubblici (art. 37, comma 1°).    

Nelle more della pubblicazione di detto elenco, quindi, le Amministrazioni non intendono esperire gare – che dovrebbero poi venire immediatamente revocate non appena individuate le P.A. ”qualificate” – preferiscono quindi aderire a contratti o convenzioni già in essere da parte di altre Amministrazioni appaltanti.

Ma è sempre possibile ?    

L’attuale situazione impone quindi un’analisi attenta ed approfondita in relazione all’ammissibilità ed i limiti d’affidamento di tali “adesioni” da parte di nuovi committenti a contratti o convenzioni già in essere.                        

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E’ necessario innanzitutto premettere come non esista una specifica normativa in materia, in quanto la prassi di consentire l’ "estensione" degli affidamenti è nata dall’esigenza di perseguire una maggiore semplificazione ed economicità dell’azione amministrativa, nonché per imposte esigenze di risparmio della spesa (in particolar modo nel settore della Sanità).

I riferimenti normativi vengono infatti fatti risalire all’art. 1 della L.n.. 296/2006 (“Legge Finanziaria 2007”), che per la prima volta ha imposto agli enti del SSN di approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro stipulate dalle Centrali Regionali di Committenza ex art. 33 D.Lgs. 163/2006 (ora sostituito dal più recente art. 37 del Nuovo Codice dei Contratti), rendendo in questo modo obbligatorio procedere con gli acquisti centralizzati, da considerarsi quindi come gli unici strumenti idonei a conseguire gli obiettivi di risparmio finanziario.

A tale impianto si è aggiunto l’art. 1 comma 3, del D.L. n. 95/2012 e s.m.i. (c.d. decreto “Spending review”) che ha stabilito come le Amministrazioni possano procedere allo svolgimento di autonome procedure di acquisto solamente in caso di motivata urgenza, nonché nel caso in cui non fosse possibile avvalersi delle Convenzioni già stipulate da Consip o dalle Centrali di Committenza Regionali.

Non si tratta di un semplice “invito”, in quanto lo stesso articolo 1 stabilisce come i contratti stipulati in violazione degli obblighi d’approvvigionamento messi a disposizione da Consip o dalla Centrali regionali debbano ritenersi nulli, oltre a costituire illecito disciplinare e causa di responsabilità amministrativa per il Dirigente Pubblico responsabile dell’acquisto contra legem.

Ma – per quanto di interesse – è il successivo art. 15, comma 13 del predetto decreto a stabilire che “le aziende sanitarie che abbiano proceduto alla rescissione del contratto, possono […] stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture”.

Dal quadro normativo richiamato, tuttavia, pare evidente come il ricorso libero ed indiscriminato a tale forma d’affidamento possa creare seri dubbi di compatibilità con il diritto dei contratti pubblici ed, in generale, con il principio della libera concorrenza.

In buona sostanza, infatti, le fattispecie di “adesione postuma” costituiscono null’altro che degli affidamenti di appalti pubblici disposti senza gara, attraverso la mera adesione di Pubbliche Amministrazioni agli esiti di una gara bandita e predisposta da un’altra Stazione appaltante per soddisfare originariamente le (sole) proprie esigenze.

A questo punto quindi occorre chiedersi: entro quali limiti tale affidamento può ritenersi compatibile con il diritto comunitario nonché con il diritto interno in materia di pubblici affidamenti?

Sulla questione sono recentemente intervenute sia l’ANAC che l’AGCM con, un Comunicato congiunto 21/12/2016, hanno posto l’accento sulla necessità di regolamentare tale prassi, potenzialmente elusiva dei principi generali in materia di affidamenti pubblici nonché, in particolare, della disciplina degli obblighi di programmazione biennale degli acquisti di beni e servizi ex art. 21 del D.Lgs. 50/2016.

Proprio in tale ottica l’Autorità Anticorruzione e l’AGCM hanno ribadito – in accordo con la giurisprudenza amministrativa – che la legittimità della clausola di estensione debba essere analizzata caso per caso, in un‘ottica di equo bilanciamento degli interessi pubblici con i principi di libera concorrenza e parità di trattamento.

Le due Autorità hanno infatti osservato come “il ricorso all’istituto dell’aggregazione della domanda, anche attraverso l’utilizzo degli strumenti aggregativi della committenza come da ultimo disciplinati dall’art. 37 del d.lgs. n. 50/2016, non può di per sé giustificare l’eventuale adesione postuma, non potendo il ricorso allo stesso consentire di derogare né ai principi che presiedono il regolare svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica, né alle norme sopra richiamate. Parimenti, il perseguimento dell’obiettivo di conseguire un eventuale risparmio di spesa, anche in ottemperanza a specifiche previsioni normative di riduzione e contenimento dei costi, non può legittimare l’esistenza e l’applicazione di una clausola di adesione indeterminata in violazione delle regole dell’evidenza pubblica.

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Su tali problematiche - nonché sulla delimitazione dei confini applicativi della disciplina - hanno di recente statuito anche due pronunce dei Giudici Amministrativi, accomunabili circa i presupposti, le condizioni e le limitazioni applicative dell’istituto ma diametralmente opposte in merito all’esito, a palese dimostrazione della complessità dell’istituto nonchè della conflittualità della materia.

Nella prima pronuncia (Tar Toscana, III° 6/2/2017 n. 183) l’ente aggregatore ESTAR Toscana aveva bandito una gara per la fornitura di gas medicinali e tecnici nonché del servizio di manutenzione degli impianti a favore delle Aziende Sanitarie Provinciali del territorio di riferimento (nello specifico Siena, Grosseto ed Arezzo).

Il contratto stipulato da Estar con l’azienda aggiudicataria prevedeva poi, al suo interno, una clausola d’adesione in modo da consentire anche ad altre eventuali AA.SS.LL. della Toscana di poter effettuare affidamenti successivi agli stessi patti e condizioni contrattuali (per l’importo considerevole di 41 milioni di euro) e, proprio mettendo in esecuzione tale clausola, l’ASL di Grosseto faceva istanza di aderire al suddetto contratto, richiesta accolta dalla Centrale di Committenza.

Detta adesione veniva tuttavia impugnata da un operatore economico del settore, che ne contestava la legittimità per una serie di motivi, ed il Tar Toscana aveva così modo di precisare che, in linea generale, lo strumento dell’adesione postuma non comporta di per sé una sottrazione della concorrenza, in quanto costituisce espressione del principio di concentrazione delle gare legittimamente utilizzabile qualora ricorrano determinate condizioni.

Tali condizioni riguardano innanzitutto l’oggetto contrattuale, che deve risultare perfettamente identico a quello già concluso, nonché prevedere le stesse condizioni economico-operative precedentemente stabilite; qualora infatti si ravvisi qualsiasi tipo di “rinegoziazione” rispetto alle precedenti prestazioni contrattuali o agli importi già pattuiti, ci si viene allora a trovare al di fuori dal perimetro di un contratto “ad oggetto multiplo”, sconfinando in tal caso allora in un affidamento diretto (di per sé illegittimo).

Nel caso di specie è dunque risultato decisivo il fatto che, proprio per la prestazione accessoria di manutenzione ordinaria degli impianti, nella convenzione “principale” non risultava definito alcun corrispettivo economico, né tantomeno le condizioni di servizio standard, ragion per cui il ricorso è stato accolto, stabilendo il TAR che, nel caso in cui l’oggetto delle prestazioni contrattuali venga lasciato in parte o in tutto alla successiva rinegoziazione delle parti, in tal caso allora ci si trova dinanzi ad un vero e proprio “nuovo affidamento”, che non può essere sottratto al normale confronto concorrenziale.

Quasi coeva, invece, occorre segnalare una procedura indetta dall’Azienda Socio-Sanitaria di Lecco per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione di apparecchiature sanitarie, relativamente alla quale il TAR Milano (IV° 27/01/2017 n. 212) hanno considerato assolutamente legittimo l’affidamento del servizio ad altra P.A., in ragione dell’applicazione di una clausola di adesione.

In questo caso infatti detta clausola individuava “in modo sufficientemente chiaro, determinato ed omogeneo, anche in riferimento all’ambito territoriale”, ovvero quali fossero “le Amministrazioni aggiudicatrici che potranno aderire, ed entro quali limiti, senza modifica di patti, condizioni e prezzi stabiliti dagli atti di gara, risultando pertanto la piena legittimità della stessa”.

Pertanto, all’interno di precise e circoscritte condizioni “territoriali”, che riguardano cioè la predeterminazione dei soggetti abilitati alla possibile successiva adesione, nonché tempi ristretti per detta eventuale adesione ed l’assoluta identità delle condizioni contrattuali prestabilite, deve in tal caso ritenersi ammissibile il ricorso ad un contratto c.d. “multiplo”.

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In conclusione quindi, nonché in attesa di un auspicato intervento legislativo risolutore, gli indirizzi forniti dalla giurisprudenza e dalle Autorità indipendenti sembrano essere gli unici in grado di fornire una possibile “bussola” interpretativa relativamente a questo importante istituto, al fine di evitare che l’applicazione della clausola d’adesione possa esser tacciata di voler eludere l’obbligo di indizione di pubbliche gare e quindi evitare agli attuali affidatari il libero ed aperto confronto concorrenziale.